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Home Fabrizio Marongiu Buonaiuti Didattica 2024/2025 Diritto internazionale privato

Diritto internazionale privato

  • A.A. 2024/2025
  • CFU 8
  • Ore 40
  • Classe di laurea LMG/01
Fabrizio Marongiu Buonaiuti / Professore di ruolo - I fascia (GIUR-09/A)
Dipartimento di Giurisprudenza
Prerequisiti

Una conoscenza di base del diritto privato e del diritto dell'Unione europea sarà opportuna, in considerazione del ruolo della disciplina UE in materia.

Obiettivi del corso

I rapporti giuridici transnazionali, sia di carattere personale e familiare, sia di carattere commerciale e professionale, sempre più frequenti nel mondo interconnesso di oggi, sollevano questioni di diritto internazionale privato. Il corso intende affrontare queste questioni mediante un approccio pratico, basato sull'esame della giurisprudenza, particolarmente di quella della Corte di giustizia dell'Unione europea, in modo da sviluppare negli studenti la capacità di applicare le regole astratte della materia, concernenti la giurisdizione, la legge applicabile, il riconoscimento e l'esecuzione di sentenze ed atti stranieri, alla realtà concreta dei rapporti transnazionali. Il corso si rivolge in modo particolare agli studenti che sceglieranno i percorsi formativi opzionali per Giurista forense e per Giurista d'impresa, fornendo gli strumenti per svolgere entrambi i ruoli nella dimensione non più solamente nazionale dei rapporti giuridici e delle attività economiche.

Programma del corso

Il Corso affronterà principalmente i seguenti temi: 1. Il problema del diritto internazionale privato: la pluralità, e diversità, dei sistemi giuridici statali in un mondo sempre maggiormente interconnesso. 2. La disciplina della giurisdizione: quadro generale delle regole pertinenti. 3. L'individuazione della legge applicabile; le questioni generali del diritto internazionale privato; la legge applicabile nei principali ambiti dei rapporti giuridici privatistici. 4. Il riconoscimento e l'esecuzione delle sentenze straniere: quadro delle disposizioni pertinenti. 5. Il riconoscimento di status personali e familiari creati all'estero: il riconoscimento di atti e documenti pubblici stranieri e delle situazioni giuridiche in quanto tali.

Testi (A)dottati, (C)onsigliati

(A) Mosconi F. , Campiglio C.; Diritto internazionale privato e processuale, Volume I, Parte generale e obbligazioni; Decima edizione; UTET Giuridica - Wolters Kluwer Italia SpA Milano; 2022; (tutto); 978-8859824923


Altre informazioni / materiali aggiuntivi

Gli studenti dovranno avere cura di consultare le fonti normative citate nel libro di testo indicato, con particolare riferimento ai regolamenti UE citati e alla legge di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato (l. 31 maggio 1995, n. 218, come successivamente modificata). Potranno fare riferimento, a tal fine, ai testi normativi che verranno inseriti dal docente in un'apposita cartella (denominata "testi normativi di riferimento generale") sulla pagina web dell'insegnamento.

Metodi didattici
  • Il corso si svolgerà con lezioni frontali, integrate con la discussione di casi, con particolare riferimento alla giurisprudenza della Corte di giustizia relativa all'interpretazione dei regolamenti UE relativi ai diversi profili della materia, al fine di sviluppare negli studenti la capacità di affrontare con consapevolezza le questioni che si pongono in termini di applicazione delle regole esaminate nella realtà concreta dei rapporti giuridici transnazionali.
Modalità di valutazione
  • Esame scritto e orale, La prova scritta comporterà domande a risposta aperta lunga (elaborati) sugli argomenti trattati nel Corso e indicati nel programma d'esame. La prova orale, di carattere facoltativo, che presuppone il superamento della prova scritta, potrà comportare una domanda di ulteriore verifica sugli argomenti trattati nel Corso ovvero nel programma d'esame, e potrà incidere sul voto finale per non oltre il 10% della valutazione complessiva. Nello svolgimento delle prove non sarà consentita la consultazione di alcun materiale. Tanto le prove scritte quanto le prove orali si svolgono in lingua italiana. I seguenti criteri verranno seguiti nella graduazione dei voti: a) conoscenza e capacità di comprensione dei testi: 40% della valutazione complessiva; b) capacità di operare collegamenti fra i testi: 20% della valutazione complessiva; c) capacità di applicare le conoscenze: 20% della valutazione complessiva; d) autonomia di giudizio e di pensiero critico: 20% della valutazione complessiva.

Lingue, oltre all'italiano, che possono essere utilizzate per l'attività didattica

L'insegnamento è tenuto in lingua italiana. Lingue straniere, essenzialmente l'inglese e il francese, potranno essere utilizzate per la consultazione di materiali non disponibili in lingua italiana.

Lingue, oltre all'italiano, che si intende utilizzare per la valutazione

Italiano

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I materiali didattici sono reperibili nella stanza Teams al link di seguito
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  •  Il riconoscimento delle situazioni giuridiche soggettive di carattere personale e familiare costituite all'estero

    In questa cartella si raccolgono alcune pronunce giurisprudenziali, principalmente della Corte europea dei diritti dell'uomo e della Corte di giustizia dell'Unione europea, relative alla problematica del riconoscimento delle situazioni giuridiche di carattere personale e familiare costituite all'estero. La problematica in questione rileva tanto sul piano della tutela del diritto alla vita privata e familiare, in base all'art. 8, par.1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e al corrispondente art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, sul quale è suscettibile di incidere l'eventuale diniego del riconoscimento di una tale situazione per contrarietà all'ordine pubblico dello Stato richiesto, quanto, nel contesto intra-UE, sul piano della libertà di circolazione dei cittadini dell'Unione tra gli Stati membri, sulla quale rischia di incidere negativamente la mancata continuità transfrontaliera delle situazioni giuridiche di carattere personale e familiare. La problematica in esame assume rilievo particolarmente critico nel contesto dei fenomeni migratori, nei quali si è sovente in presenza di cittadini di paesi terzi titolari di status personali e familiari acquisiti in base alle leggi dei propri paesi d'origine, le quali possono rivelarsi ispirate a principi difficilmente riconciliabili con i principi ispiratori della disciplina delle relazioni familiari negli ordinamenti europei.

    • F. Marongiu Buonaiuti, Immigrazione e circolazione degli status personali e familiari: la problematica dei c.d. Conflits de civilisations

      Estratto in pdf di uno scritto del docente, pubblicato nel volume Dinamiche del diritto, migrazioni e uguaglianza relazionale, a cura di Guido Canavesi, EUM - Edizioni Università di Macerata, 2019, disponibile online in open access sul sito https://eum.unimc.it/it/, dedicato al tema della circolazione internazionale degli status personali e familiari nei termini in cui si pone nel contesto dei fenomeni migratori, caratterizzati dal rapporto tra sistemi giuridici ispirati a principi differenti, una problematica che la dottrina francese del diritto internazionale privato indica tradizionalmente come "conflits de civilisation", o, in termini più anodini, "conflits de cultures".

    • Direttiva 2003/86/CE sul ricongiungimento familiare

      Si veda in particolare l'art. 4, par. 4, per il quale, in caso di matrimonio poligamico contratto dal cittadino di un paese terzo regolarmente soggiornante in un paese membro, prevede che ove sia già presente un coniuge convivente sul territorio di uno Stato membro col soggetto regolarmente soggiornante lo Stato membro richiesto non debba autorizzare l'ingresso per ricongiungimento familiare di un altro coniuge.

    • Convenzione dell'Aja del 19 ottobre 1996 sulla giurisdizione, la legge applicabile, il riconoscimento e l'esecuzione dei provvedimenti e la cooperazione in materia di protezione dei minori

      Si veda l'art. 6 della Convenzione, il quale prevede che nel caso di minori che siano rifugiati o sfollati internazionalmente a causa di situazioni di disordine verificatesi nel loro paese la competenza ad adottare misure per la loro protezione sia in capo allo Stato parte nel quale sono presenti a seguito delle vicende verificatesi, non potendo trovare agevolmente applicazione in simili circostanze il criterio della residenza abituale utilizzato come regola generale dalla Convenzione.

    • Convenzione delle Nazioni Unite sullo status dei rifugiati (Ginevra, 28 luglio 1951)

      Si veda l'art. 12 della convenzione, relativo alla legge applicabile allo status personale dei rifugiati, che richiama, in luogo della legge nazionale della persona interessata, la legge del paese di domicilio, o, in mancanza, la legge del paese di residenza. Il secondo comma della norma fa salvi gli status di carattere personale acquisiti dalla persona in base alla legge in precedenza applicabile al proprio status, fatte salve le formalità previste ai fini del riconoscimento dalla legge dello Stato ospite, e a condizione che si tratti di uno status giuridico che in base al diritto dello Stato in questione verrebbe riconosciuto a uno straniero anche ove non si trattasse di un rifugiato.

    • Corte di giustizia UE, sentenza 14 dicembre 2021, causa C-490/20, Pancharevo

      Nella sentenza, che segue la linea della precedente sentenza Coman (v. sotto), la Corte di giustizia dell'Unione europea ha affermato che le norme dei Trattati e della direttiva 2004/38 sul diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare liberamente tra gli Stati membri non consentono ad uno Stato membro di rifiutarsi di riconoscere, benché ai soli fini dell'esercizio del diritto alla libertà di circolazione, un rapporto di filiazione costituitosi in un altro Stato membro facendo ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistite non consentite nel primo Stato membro, e, in particolare, non possono rifiutarsi di riconoscere una minore, cittadina dell'Unione, come figlia di ciascuna delle due donne che in base all'atto di nascita formato nell'altro Stato membro sono indicate come sue madri, nella misura in cui ciò rilevi al fine di consentire alla minore di spostarsi da uno Stato membro a un altro accompagnata dall'una piuttosto che dall'altra delle due madri. Anche in questo caso, e per le medesime ragioni di cui al precedente caso Coman, resta impregiudicato il diritto dello Stato membro richiesto di rifiutarsi di riconoscere il rapporto giuridico in questione a fini diversi da quelli strettamente inerenti alla libertà di circolazione, se così le sue norme nazionali impongono (v. par. 36 ss. della motivazione).

    • Corte di giustizia UE, sentenza 5 giugno 2018, causa C-673/16, Coman

      Nella sentenza, la Corte di giustizia segue la linea dei precedenti casi Garcia Avello e Grunkin-Paul, affermando che il diritto dei cittadini europei di circolare liberamente tra gli Stati membri non consente ad uno Stato membro di rifiutare di riconoscere, agli stretti fini della libertà di circolazione, un rapporto di coniugio costituito in un altro Stato membro tra due persone dello stesso sesso, dei quali uno è cittadino dell'Unione, nel momento in cui il cittadino, accompagnato dal proprio coniuge, esercitando la libertà di circolazione si va a trasferire nei proprio Stato nazionale. Secondo quanto affermato dalla Corte di giustizia, conformemente al principio di attribuzione, resta salva l'applicazione delle norme nazionali dello Stato richiesto del riconoscimento, che. come nel caso di specie, non prevedano il matrimonio tra persone dello stesso sesso, al riconoscimento del rapporto giuridico in questione a fini diversi da quelli strettamente inerenti alla libertà di circolazione (si vedano i parr. 28 ss. della motivazione).

    • Corte di giustizia CE, sentenza 14 ottobre 2008, causa C-353/06, Grunkin e Paul

      Nella sentenza, che segue la stessa linea della precedente sentenza Garcia Avello (v. sotto), la Corte di giustizia ha affermato che le norme dei Trattati e della direttiva 2004/38 concernenti la libertà di circolazione dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari negli Stati membri non consentono allo Stato membro di cui il minore è cittadino di rifiutare di riconoscere il nome del minore così come formato in un altro Stato membro in cui egli è nato e ha vissuto prima di trasferirsi nello Stato membro di cui è cittadino (si vedano in particolare i parr. 21 ss. della motivazione).

    • Corte di giustizia CE, sentenza 2 ottobre 2003, causa C-148/02, Garcia Avello c. Stato belga

      In questa sentenza la Corte di giustizia ha affermato che il diritto dei cittadini europei di circolare liberamente tra gli Stati membri presuppone che il nome acquisito da un cittadino dell'Unione in uno Stato membro di cui sia cittadino debba poter essere riconosciuto anche in un altro Stato membro, del quale pure sia cittadino e nel quale si vada a spostare esercitando il diritto alla libertà di circolazione delle persone (v. in particolare par. 25 ss. della motivazione).

    • Corte europea dei diritti umani, Grande camera, parere consultivo del 10 aprile 2019, su richiesta P16-2018-001, relativa al riconoscimento della filiazione costituita all'estero tramite ricorso alla maternità surrogata

      Nel parere consultivo, il primo reso in applicazione del Protocollo n. 16 alla Convenzione europea, la Grande Camera ha chiarito, facendo seguito alla sentenza Mennesson c. France (v. sotto), che il legame familiare tra il bambino nato all'estero da maternità surrogata e il genitore d'intenzione, col quale non vi sia legame biologico, può non necessariamente ricevere riconoscimento mediante trascrizione dell'atto di nascita straniero dal quale il minore stesso sia indicato come figlio anche del genitore d'intenzione, potendo percorrersi anche la strada alternativa dell'adozione, purché questa sia esperibile in temi rapidi e offra una tutela effettiva dell'interesse del minore.

    • Corte europea dei diritti umani, Grande camera, sentenza 24 gennaio 2017, su ricorso n. 25358/12, Paradiso e Campanelli c. Italia

      Nella sentenza, che affronta una problematica simile a quella oggetto delle due sentenze Mennesson e Labassée (v. sotto), la Grande Camera della Corte europea ha affermato che non sussiste violazione dell'art. 8, par. 1, della Convenzione europea in relazione al rifiuto delle autorità italiane di trascrivere nei registri dello stato civile un atto di nascita formato in Russia nel quale il minore, nato a seguito di un'operazione di maternità surrogata, era indicato come figlio dei ricorrenti, in una situazione in cui, diversamente dai casi Mennesson e Labassée sopra richiamati, il minore non presentava un legame biologico con alcuno dei genitori di intenzione.

    • Corte europea dei diritti umani, sentenza 26 giugno 2014, su ricorso n. 65192/11, Mennesson c. France

      Nella sentenza, così come nella sentenza parallela della stessa data su ricorso n. 65941/11, Labassée c. France, la Corte europea dei diritti umani ha affermato la violazione da parte della Francia dell'art. 8, par. 1, della Convenzione europea dei diritti umani, per aver negato il riconoscimento del rapporto di filiazione instaurato all'estero, negli Stati Uniti, tra una coppia eterosessuale di cittadini francesi uniti in matrimonio, i quali avevano fatto ricorso ad un'operazione di maternità surrogata per ovviare a problemi di infertilità, e le figlie gemelle nate da tale operazione. In particolare, la Corte europea ha riconosciuto la violazione dell'art. 8, n. 1, della Convenzione europea relativamente al diniego di riconoscere la genitorialità del padre, il quale presentava il normale legame biologico con le figlie per essere il suo materiale genetico maschile stato impiegato nell'operazione, laddove ha ritenuto legittimo il diniego di riconoscimento del rapporto di filiazione nei confronti della madre d'intenzione, la moglie del padre, dal momento che con quest'ultima le figlie non presentavano alcun legame biologico.

    • Corte europea dei diritti umani, sentenza 9 novembre 2010, su ricorso n. 664/06, Losonci Rose and Rose v. Switzerland

      Nella sentenza, la Corte europea ha riconosciuto la Svizzera responsabile della violazione dell'art. 14 (divieto di discriminazione) in relazione all'art. 8, par. 1, della Convenzione europea per avere negato al ricorrente, cittadino ungherese che all'atto del matrimonio con la moglie cittadina svizzera aveva optato per assumere il cognome della moglie, di poter successivamente richiedere di poter utilizzare il proprio cognome originario secondo la legge ungherese, laddove una simile opzione sarebbe stata offerta dalla legge svizzera alla moglie, che in circostanze invertite avesse accettato all'atto del matrimonio di assumere il cognome del marito e successivamente avesse richiesto di poter portare nuovamente il proprio cognome così come previsto dalla propria legge nazionale.

    • Corte europea dei diritti umani, sentenza 3 maggio 2011, su ricorso n. 56759/08, Negrepontis Giannisis c. Grèce

      Nella sentenza, la Corte europea ha affermato la violazione dell'art. 8, par. 1, della Convenzione europea per avere le autorità greche rifiutato di riconoscere un'adozione disposta dalle autorità degli Stati Uniti di un cittadino greco residente al tempo negli Stati Uniti da parte di un suo zio, anch'egli cittadino greco residente al tempo negli Stati Uniti, a motivo del fatto che l'adottante era un monaco della Chiesa ortodossa greca e la legislazione greca non consentiva ai religiosi ortodossi di adottare.

    • Corte europea dei diritti umani, sentenza 28 giugno 2007, su ricorso n. 76240/01, Wagner v. Luxembourg

      Nella sentenza, la Corte europea ha affermato la violazione dell'art. 8, par. 1, della Convenzione europea per avere le corti lussemburghesi rifiutato di riconoscere l'adozione ordinata dalle corti peruviane di un bambino avente la nazionalità di quel paese da parte di una signora lussemburghese, a motivo del fatto che il diritto lussemburghese non consente l'adozione da parte di single.

  •  Il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni straniere in materia civile e commerciale in base al regolamento Bruxelles I-bis

    In questa cartella si raccolgono alcune sentenze della Corte di giustizia relative all'interpretazione delle norme contenuta, un tempo, nella Convenzione di Bruxelles del 1968 e, successivamente, nel regolamento n. 44/2001 (c.d. Bruxelles I) e ora nel regolamento n. 1215/2012 (Bruxelles I-bis) con riferimento al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni emesse negli altri Stati membri dell'Unione europea in materia civile e commerciale. Il principio oggi accolto nell'art. 36 del regolamento n. 1215/2012 è costituito dal riconoscimento automatico delle sentenze emesse negli altri Stati membri nelle materie oggetto del regolamento, salva contestazione da parte della persona nei confronti della quale la decisione è fatta valere, che invochi uno dei motivi di esclusione del riconoscimento contemplati dall'art. 45 del regolamento stesso. Il medesimo principio vale in termini generali nelle materie che formano oggetto degli altri regolamenti emanati dall'Unione europea nel contesto della cooperazione giudiziaria in materia civile (regolamento n. 2201/2003 o Bruxelles II-bis -destinato ad essere sostituito dal regolamento 2019/1111 o Bruxelles II-ter- in materia matrimoniale e di potestà genitoriale; regolamento n. 4/2009 in materia di obbligazioni alimentari; regolamento n. 650/2012 in materia di successioni; regolamenti n. 1103 e 1104/2016 in materia di regimi patrimoniali tra coniugi e di effetti patrimoniali delle unioni registrate). Il regolamento n. 1215/2012 (Bruxelles I-bis) innova in rapporto al precedente regolamento n. 44/2001 (Bruxelles I) e alla Convenzione di Bruxelles del 1968, generalizzando la soluzione già adottata nel regolamento n. 805/2004 istitutivo del titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati, nel senso di sostituire, al fine dell'esecuzione delle sentenze emesse negli altri Stati membri, la dichiarazione di esecutività da adottarsi dal giudice dello Stato membro richiesto con una certificazione, rilasciata dai giudici dello Stato membro di origine della decisione, nella quale si attesta che questa è esecutiva nello Stato membro di origine, sul presupposto, coerente col principio della reciproca fiducia tra i sistemi giudiziari degli Stati membri, che le decisioni esecutive nello Stato membro di origine debbano poter essere portate ad esecuzione, salva contestazione basata sui motivi di cui all'art. 45 del regolamento, negli altri Stati membri.

    • Convenzione dell'Aja del 2 luglio 2019 sul riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni straniere in materia civile e commerciale

      Link alla pagina del sito della Conferenza dell'Aja di diritto internazionale privato dedicata alla Convenzione dell'Aja del 2 luglio 2019 sul riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. La Convenzione costituisce il frutto di un progetto che ha avuto un'elaborazione ventennale, inizialmente concepito in termini di convenzione di carattere doppio, riguardante quindi al tempo stesso la giurisdizione e il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni, sul modello della Convenzione di Bruxelles del 1968. La proposta di replicare tale modello su scala universale si è presto rivelata di difficile realizzazione, a causa soprattutto della difficoltà di trovare un consenso su vasta scala in ordine ai criteri di giurisdizione da accogliersi nel progetto, con la conseguente scelta, dapprima, di limitare il progetto alla sola materia degli accordi di scelta del foro, oggetto dell'apposita Convenzione dell'Aja del 2005, con l'emersione solo in un successivo momento dell'idea di adottare una convenzione che avesse ad oggetto il riconoscimento ed esecuzione delle decisioni. La convenzione, pur delimitando la materia civile e commerciale che ne forma oggetto in modo tendenzialmente corrispondente a quanto avviene nella disciplina adottata dall'Unione europea sulla scia della Convenzione di Bruxelles del 1968, nondimeno esclude dal proprio ambito di applicazione materiale una serie di questioni che sono invece ricomprese nell'ambito di applicazione della corrispondente disciplina europea. Particolarmente sensibile è lo sforzo operato dalla Convenzione di individuare dei criteri convincenti in punto di competenza giurisdizionale indiretta, vale a dire, al fine di verificare l'accettabilità dei criteri sulla cui base il giudice che ha emanato la decisione da riconoscere ha esercitato la propria giurisdizione, al qual fine la Convenzione appare accogliere un novero ampio di criteri ispirati ad un sufficiente legame di prossimità tra il giudice e la controversia (art. 5), sul presupposto che decisioni emanate sulla base di criteri di giurisdizione diversi potranno eventualmente essere riconosciute in base alle norme nazionali degli Stati parte, ad eccezione del caso in cui si tratti di decisioni riguardanti i diritti reali sugli immobili, che potranno essere riconosciute unicamente se emanate dai giudici dello Stato parte nel quale gli immobili sono situati (art. 6).

    • Corte di giustizia CE, sentenza 28 marzo 2000, in causa C-7/98, Krombach c. Bamberski

      La sentenza della Corte di giustizia si pronuncia sulla portata del limite dell'ordine pubblico, come motivo di rifiuto del riconoscimento di una sentenza emessa in un altro Stato membro ai sensi, al tempo, dell'art. 27, n. 1, della Convenzione di Bruxelles del 1968 (v. ora l'art. 45, par. 1, lettera a) del regolamento UE n. 1215/2012, c.d. Bruxelles I-bis), affermando che tale motivo di rifiuto del riconoscimento di una sentenza straniera possa invocarsi solamente in casi di manifesta incompatibilità della decisione con un principio fondamentale dell'ordinamento dello Stato membro richiesto del riconoscimento, come il principio per il quale deve essere garantito il rispetto del diritto alla difesa, e che, in particolare, questioni attinenti alla competenza giurisdizionale del giudice che ha emesso la sentenza da riconoscere non possano rilevare al fin della valutazione della contrarietà della decisione del cui riconoscimento si tratta all'ordine pubblico. Si vedano in particolare i par. 35 ss. della motivazione.

    • Corte di giustizia UE, sentenza 16 luglio 2015, in causa C-681/13, Diageo Brands

      Nella sentenza, la Corte di giustizia ritorna sulla contrarietà all'ordine pubblico dello Stato membro richiesto del riconoscimento di una sentenza emanata in un altro Stato membro come motivo di rifiuto del riconoscimento ai sensi, attualmente, dell'art. 45, par. 1, lettera a) del regolamento n. 1215/2012 (c.d. Bruxelles I-bis), già oggetto della precedente sentenza Krombach (v. supra, in questa stessa cartella). Al riguardo, la Corte ha chiarito che il fatto che la sentenza da riconoscere sia in contrato con una regola di diritto dell'Unione europea non implica necessariamente la sua incompatibilità con l'ordine pubblico dello Stato membro richiesto del riconoscimento, se non nella misura in cui la regola violata si configuri come un principio fondamentale del diritto dell'Unione europea, da considerarsi come tale al tempo stesso un principio fondamentale degli ordinamenti giuridici degli Stati membri (v. par. 39 ss. della motivazione).

    • Corte di giustizia UE, sentenza 6 settembre 2012, in causa C-619/10, Trade Agency

      Nella sentenza, la Corte di giustizia ritorna sulla contrarietà all'ordine pubblico dello Stato membro richiesto del riconoscimento come motivo di rifiuto del riconoscimento di una sentenza emessa in un altro Stato membro, in base alla regola ora contenuta nell'art. 45, par. 1, lettera a) del regolamento n. 1215/2012 (Bruxelles I-bis), con riferimento alla violazione di garanzie procedurali che possano considerarsi integrare i principi del giusto processo. Al riguardo, la Corte di giustizia, confermando un'interpretazione restrittiva del motivo di rifiuto del riconoscimento in questione, ha affermato che il fatto che una sentenza pronunciata in contumacia (vale a dire, senza che il convenuto si fosse costituito nel giudizio innanzi al giudice di origine) sia sprovvista, in base alle regole procedurali dello Stato membro di origine, di adeguata motivazione non costituisce di per sè una violazione flagrante delle regole del giusto processo, tale da doversene affermare la contrarietà all'ordine pubblico, nella misura in cui sia accertato che l'atto introduttivo del giudizio era stato portato regolarmente a conoscenza del convenuto e questo conteneva sufficienti informazioni in ordine all'oggetto della domanda giudiziale e alle conseguenze derivanti dall'eventuale mancata comparizione del convenuto (v. par. 47 ss. della motivazione, e, con riferimento all'applicabilità dell'ulteriore motivo di rifiuto del riconoscimento di cui, attualmente, all'art. 45, par. 1, lettera b), del regolamento n. 1215/2012, costituito dalla irregolarità della notifica dell'atto introduttivo al convenuto nel caso in cui il processo si sia svolto in contumacia, par. 26 ss. della motivazione).

    • Corte di giustizia CE, sentenza 2 aprile 2009, in causa C-394/07, Gambazzi

      Nella sentenza, la Corte di giustizia afferma che non può ritenersi incompatibile con l'ordine pubblico dello Stato membro richiesto ai fini della regola ora contemplata dall'art. 45, par. 1, lettera a) del regolamento n. 1215/2012 (Bruxelles I-bis) il riconoscimento di una sentenza resa in un altro Stato membro (al tempo, il Regno Unito) che sia stata emessa a seguito dell'esclusione del convenuto dal procedimento, disposta dal giudice in base alle regole processuali dello Stato membro in questione, le quali contemplano tale sanzione per casi estremi di contempt of court (oltraggio alla corte), a seguito del reiterato rifiuto del convenuto di ottemperare alle ordinanze istruttorie nelle quali gli si intimava di presentare dei documenti in suo possesso ritenuti utili al fine della decisione. Infatti, secondo quanto osservato dalla Corte di giustizia, la parte convenuta davanti al giudice straniero che scelga deliberatamente di tenere un tale comportamento, senza impugnare le decisioni del giudice straniero, non può poi lamentare la violazione del proprio diritto di difesa in sede di riconoscimento della sentenza pronunciata a suo carico (si vedano i par. 26 ss. della motivazione).

    • Corte di giustizia CE, sentenza 6 giugno 2002, in causa C-80/00, Italian Leather c. WECO Polstermoebel

      Nella sentenza, la Corte di giustizia si pronuncia sull'interpretazione del motivo di esclusione del riconoscimento delle sentenze emanata negli altri Stati membri contemplato attualmente nell'art. 45, par. 1, lettera c), del regolamento n. 1215/2012 (Bruxelles I-bis), al tempo art. 27, n. 3, della Convenzione di Bruxelles del 1968, costituito dal contrasto della decisione da riconoscere con altra decisione emanata nello Stato membro richiesto del riconoscimento, chiarendo che, in considerazione della nozione alquanto ampia di "decisione" accolta al tempo dalla Convenzione di Bruxelles e, coerentemente, dai regolamenti che la hanno sostituita, il contrasto in questione è suscettibile di rilevare come motivo di esclusione del riconoscimento anche in relazione a un provvedimento di carattere provvisorio o cautelare emesso dai giudici di uno Stato membro in base alla regola ora contenuta nell'art. 35 del regolamento n. 1215/2012 (al tempo art. 24 della Convenzione di Bruxelles del 1968), il cui riconoscimento sia richiesto in un altro Stato membro, i cui giudici avessero a propria volta emesso una decisione di rigetto della domanda volta ad ottenere un provvedimento sostanzialmente corrispondente in relazione alla medesima controversia tra le stesse parti (si vedano i par. 34 ss. della motivazione).

  •  La discplina della competenza giurisdizionale in materia civile e commerciale. Segue: i provvedimenti provvisori e cautelari

    In questa cartella si riportano alcune sentenze della Corte di giustizia relative all'interpretazione della disposizione concernente la competenza ad adottare misure di carattere provvisorio o cautelare, di cui all'art. 35 del regolamento UE n. 1215/2012 (c.d. Bruxelles I-bis, già art. 31 del regolamento CE n. 44/2001 (Bruxelles I) e prima ancora art. 24 della Convenzione di Bruxelles del 1968. La norma dell'art. 35 del regolamento n. 1215/2012 deve leggersi alla luce del considerando n. 33 del preambolo del regolamento stesso, nel quale sono contenute alcune importanti precisazioni, con particolare riferimento all'idoneità dei provvedimenti di carattere provvisorio o cautelare ad essere eseguiti in paesi membri diversi da quello dai cui giudici sono emanati, in buona parte desumibili dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.

    • Corte di giustizia CE, sentenza 21 maggio 1980, in causa 125/79, Denilauer c. Snc Couchet frères

      Nella sentenza la Corte di giustizia affronta la questione dell'efficacia dei provvedimenti di carattere provvisorio o cautelare emanati da un giudice di uno Stato membro all'interno di Stati membri diversi, affermando che un provvedimento di carattere cautelare, come un sequestro conservativo attuato mediante un pignoramento di somme presso un istituto bancario, che sia emanato inaudita altera parte e che sia destinato ad essere eseguito senza essere stato preventivamente notificato alla parte a carico della quale sia disposto, non possa circolare negli altri Stati membri in base alle norme sul riconoscimento delle decisioni straniere contenute, al tempo, nella Convenzione di Bruxelles del 1968, norme le quali, nei termini in cui sono concepite, non si prestano ad applicarsi a tale genere di provvedimenti. Si vedano i par. 13 ss. della motivazione della sentenza e, ora, in senso sostanzialmente confermativo, il considerando n. 33 del preambolo del regolamento UE n. 1215/2012 (c.d. Bruxelles I-bis).

    • Corte di giustizia CE, sentenza 28 aprile 2005, in causa C-104/03, St. Paul Dairy Industries NV c. Unibel Exser BVBA

      Nella sentenza, la Corte di giustizia esclude che possano considerarsi alla stregua di provvedimenti provvisori o cautelari ai sensi dell'attuale art. 35 del regolamento (UE) n. 1215/2012 (c.d. Bruxelles I-bis), al tempo art. 24 della Convenzione di Bruxelles del 1968, un ordine di audizione preventiva di testimoni, come disciplinato, nella specie, dal codice di procedura civile olandese, dal momento che, istituendo la norma in questione un regime speciale e derogatorio rispetto all'ordinaria disciplina della competenza giurisdizionale in materia civile e commerciale, essa non può applicarsi in via analogica a provvedimenti diversi da quelli in funzione dei quali è stata concepita. La Corte richiama al riguardo la definizione di provvedimenti provvisori e cautelari adottata nelle proprie precedenti sentenze Reichert e Kockler (26 marzo 1992, in causa C-261/90) e van Uden (17 novembre 1998, in causa C-391/95), nel senso che per "provvedimenti provvisori e cautelari" ai sensi della norma in esame devono intendersi i provvedimenti volti alla conservazione della situazione di fatto o di diritto al fine di preservare i diritti la cui esistenza forma oggetto del giudizio pendente nel merito (si vedano i par. 9 ss. della motivazione). Si deve notare che, per quanto attiene all'esecuzione negli altri Stati membri di provvedimenti di carattere istruttorio, volti all'acquisizione di elementi di prova, rileva la disciplina contenuta nell'apposito regolamento (CE) n. 1206/2001 relativo alla cooperazione tra le autorità giudiziarie degli Stati membri nel settore dell'assunzione delle prove in materia civile e commerciale.

  •  La disciplina della competenza giurisdizionale in materia civile e commerciale. Segue: litispendenza e connessione con procedimenti pendenti in paesi terzi

    Il regolamento UE n. 1215/2012, c.d. Bruxelles I-bis, presenta una significativa innovazione nel senso di promuovere un coordinamento con la giurisdizione esercitata dai giudici di paesi terzi, introducendo negli articoli 33 e 34 apposite regole concernenti la litispendenza e la connessione tra procedimenti pendenti innanzi a un giudice di un paese membro e procedimenti pendenti innanzi a un giudice di un paese terzo. Come notato dal docente nell'articolo di commento alle regole in questione inserito nella sezione "File" dell'aula Teams del corso, le regole inserite in proposito nel regolamento appaio ispirate, per un verso ad alcune soluzioni, come la previsione di una valutazione prognostica di riconoscibilità delle decisione da pronunciarsi da parte del giudice straniero, presenti nelle disposizioni legislative di alcuni paesi in materia di litispendenza internazionale (v., per l'Italia, l'art. 7 della legge 31 maggio 1995, n. 218, nella cartella "testi normativi di riferimento generale"), e per altro verso alcune soluzioni proprie dell'elaborazione giurisprudenziale dei paesi di common law, con particolare riferimento all'esigenza di tenere conto degli interessi della giustizia, contemplata dalla dottrina anglosassone del forum non conveniens. Si riportano in questa cartella alcuni materiali relativi a tale dottrina e ai suoi rapporti con i principi che ispirano il sistema europeo di ripartizione della giurisdizione in materia civile e commerciale.

    • F. Marongiu Buonaiuti, Lis alibi pendens and Related Actions in the Relationships with the Courts of Third Countries in the Recast of the Brussels I Regulation

      Estratto di uno scritto del docente, di commento alle regole introdotte negli articoli 33 e 34 del regolamento UE n. 1215/2012 (c.d. Bruxelles I-bis) per regolare i casi di litispendenza e di connessione di cause tra procedimenti pendenti innanzi a giudici di uno Stato membro e giudici di uno Stato terzo, pubblicato in Yearbook of Private International Law, vol. 15 (2013/2014), pp. 87-111.

    • House of Lords, sentenza 19 novembre 1986, Spiliada Maritime Corporation v. Cansulex Ltd

      In questa famosa sentenza, la House of Lords britannica ha chiarito i presupposti dell'applicazione della dottrina del forum non conveniens, in base alla quale i giudici inglesi, muniti di giurisdizione con riferimento a una determinata controversia, possono declinare di esercitarla in base ad una valutazione discrezionale, quando vi sia altro giudice in un diverso paese che sia ugualmente munito di giurisdizione con riferimento alla controversia e che, alla luce di tutte le circostanze del caso, come il più agevole accesso agli elementi di prova, la maggiore prossimità agli elementi fattuali della controversia e al diritto da applicarsi al merito della controversia stessa, appaia trovarsi in posizione migliore per decidere della controversia. In base al c.d. "second limb" della dottrina in questione, la sua applicazione deve essere nondimeno esclusa in tutti i casi in cui gli interessi della giustizia impongano al giudice inglese di esercitare la propria giurisdizione, per esempio quando sia dimostrato che l'attore incontrerebbe degli ostacoli nell'accesso al giudice pur astrattamente considerato più appropriato, per esempio a causa della mancanza di mezzi di gratuito patrocinio, come avvenuto nel successivo caso Lubbe v. Cape PLC, deciso dalla stessa House of Lords nel 2000 (v. infra, in questa stessa cartella). Si veda, nel file della sentenza allegato, l'opinion di Lord Goff of Chieveley, a p. 7, punto 5): The fundamental principle.

    • House of Lords, sentenza 20 luglio 2000, Lubbe and Others v. Cape Plc

      Nella sentenza, la House of Lords britannica puntualizza i presupposti dell'applicazione della dottrina del forum non conveniens come individuati nella precedente sentenza Spiliada (v. supra, in questa cartella), con particolare riferimento all'importanza della valutazione nel senso che la decisione di sospendere il processo instaurato innanzi ai giudici inglesi applicando la dottrina del forum non conveniens non pregiudichi gli interessi della giustizia, con particolare riferimento all'ipotesi in cui, come nel caso di specie, la parte attrice si troverebbe di fronte al rischio concreto di non poter intraprendere la propria azione innanzi ai giudici del paese che presenta maggiori collegamenti con la fattispecie (nel caso di specie, il Sudafrica) a causa della mancanza di adeguati mezzi di gratuito patrocinio, che sarebbero invece disponibili innanzi ai giudici inglesi. Si veda nel file allegato l'opinion di Lord Bingham of Cornhill, a p. 5 (punto 16: The applicable principles, e, più specificamente, a p. 7, punto 24 (Funding). Si può vedere anche l'articolo di commento a questa sentenza (F. Marongiu Buonaiuti, Forum non conveniens e art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo) che è disponibile nella sezione "File" dell'aula Teams del corso.

    • Corte di giustizia CE, sentenza 1° marzo 2005, in causa C-281/02, Owusu c. Jackson

      In questa sentenza, la Corte di giustizia ha escluso che un giudice inglese potesse declinare di esercitare la giurisdizione della quale era munito in base alle regole al tempo contenute nella Convenzione di Bruxelles del 1968 in favore di un giudice di un paese terzo, che apparisse in una posizione più idonea per decidere della controversia in base alla dottrina del forum non conveniens. La Corte di giustizia ha fatto riferimento a questo riguardo, per un verso, all'obbligo in capo ai giudici dei paesi membri di esercitare la giurisdizione ad essi conferita dalla Convenzione, la medesiama ratio valendo per i regolamenti che la hanno sostituita, e, per altro verso, alla criticità insita nel carattere largamente discrezionale della valutazione insita nell'applicazione della dottrina del forum non conveniens, come tale difficilmente conciliabile con i presupposti della certezza e prevedibilità della competenza giurisdizionale che ispirano il sistema di ripartizione della giurisdizione tra i giudici degli Stati membri incorporato nella Convenzione di Bruxelles e nei regolamenti che la hanno sostituita (si vedano i par. 37 ss. della motivazione). Al riguardo, si deve osservare che l'inserimento negli articoli 33 e 34 del regolamento n. 1215/2012 (Bruxelles I-bis) di apposite regole concernenti la litispendenza e la connessione con procedimenti pendenti innanzi a giudici di paesi terzi , la cui applicazione presuppone un certo margine di valutazione discrezionale da parte dei giudici degli Stati membri in ordine all'opportunità di sospendere o meno il procedimento per tenere conto della pendenza di altra causa parallela innanzi ai giudici di un paese terzo, comporta un parziale superamento della rigidità dell'approccio che ha ispirato la sentenza in esame. Al tempo stesso, non si può fare a meno di osservare che a seguito della Brexit i giudici del Regno Unito, che, a partire dalla fine del periodo transitorio, non sono più vincolati dal regolamento Bruxelles I-bis né dagli altri atti dell'Unione che regolano la giurisdizione in altri ambiti, hanno riacquistato la propria libertà di applicare la dottrina del forum non conveniens nel regolare i propri rapporti con la giurisdizione dei giudici stranieri, inclusi, da parte loro, i rapporti coi giudici dei paesi membri dell'Unione europea, almeno fintantoché non venga adottato un accordo tra il Regno Unito e l'Unione europea che disciplini la materia.

    • Institut de droit international, Sessione di Bruges, 2003, Risoluzione: The principles for determining when the use of the doctrine of forum non conveniens and anti-suit injunctions is appropriate

      In questa risoluzione, testo di carattere non vincolante il cui rilievo nasce dall'autorevolezza del consesso da cui promana, l'Institut de droit international individua alcuni principi guida con riferimento all'applicazione della dottrina del forum non conveniens e al ricorso alle anti-suit injunctions, istituto parallelo della common law, che consiste nel potere dei giudici dei paesi ispirati a tale sistema di emanare un'ingiunzione, rivolta al convenuto in un procedimento pendente dinanzi ad essi, nella quale si ordina al convenuto stesso di astenersi dall'introdurre o dal portare aventi un procedimento parallelo innanzi ai giudici di un altro paese. La risoluzione si sofferma sui profili di incompatibilità del ricorso a tali istituti della common law con i diversi metodi di risoluzione dei problemi di coordinamento tra procedimenti paralleli utilizzati nei paesi di civil law, ispirati al modello continental-europeo, e basati sul ricorso a strumenti quali la litispendenza e la connessione internazionale, come avviene nel sistema incardinato dapprima nella Convenzione di Bruxelles del 1968 e successivamente nei regolamenti europei che la hanno sostituita.

    • Corte di giustizia CE, sentenza 27 aprile 2004, in causa C-159/02, Turner c. Grovit

      Nella sentenza, la Corte di giustizia afferma l'incompatibilità col sistema di ripartizione della competenza giurisdizionale tra i giudici degli Stati membri dell'Unione europea, basato al tempo della controversia all'origine della pronuncia della Corte di giustizia sulla Convenzione di Bruxelles del 1968 e poi sui regolamenti prima n. 44/2001 (Bruxelles I) e poi n. 1215/2012 (Bruxelles I-bis) che la hanno sostituita, dell'emanazione da parte dei giudici di uno Stato membro di provvedimenti inibitori come le anti-suit injunctions contemplate dalla common law, che abbiano per effetto di impedire a una parte di intraprendere o proseguire un'azione giudiziaria innanzi ai giudici di un altro Stato membro, in quanto l'emanazione di tali provvedimenti è incompatibile col principio della reciproca fiducia che deve ispirare i rapporti tra i sistemi giurisdizionali degli Stati membri. IN base a tale principio, infatti, i giudici di ciascuno Stato membro sono chiamati a pronunciarsi unicamente sulla propria giurisdizione, e non hanno il potere di riesaminare la valutazione che i giudici di altri Stati membri compiano della propria giurisdizione. A tale regola fanno eccezione unicamente le disposizioni che in sede di riconoscimento ed esecuzione delle decisioni emanate in altro Stato membro consentono ai giudici dello Stato membro richiesto di negare il riconoscimento ovvero l'esecuzione di una decisione resa da un giudice di un altro Stato membro che abbia violato le regole concernenti le competenze esclusive (art. 16 Convenzione di Bruxelles, poi art. 22 reg. 44/2001 e ora art. 24 reg. 1215/2012) oppure le regole concernenti la competenza giurisdizionale nelle materie implicanti la protezione della parte debole di determinati rapporti (contratti di assicurazione, dei consumatori e contratti individuali di lavoro). Si vedano i par. 24 ss. della motivazione.

    • Corte di giustizia CE, sentenza 10 febbraio 2009, in causa C-185/07, Allianz (già Riunione Adriatica di Sicurtà) c. West Tankers

      Nella sentenza, la Corte di giustizia raggiunge la medesima conclusione già accolta nella precedente sentenza Turner c. Grovit (v. supra, in questa stessa cartella) nel senso dell'incompatibilità col presupposto della reciproca fiducia tra i sistemi giurisdisizionali degli Stati membri dell'emanazione di provvedimenti inibitori come le anti-suit injunctions previste dalla common law, che abbiano per effetto di impedire a una parte di introdurre ovvero di portare avanti un procedimento giurisdizionale innanzi ai giudici di un altro Stato membro, e ciò anche quando tale procedimento sia stato asseritamente avviato in violazione di una clausola compromissoria, che prevedeva la sottoposizione delle eventuali controversie a un tribunale arbitrale sedente in uno Stato membro diverso (nella specie, per l'appunto il Regno Unito). Infatti, l'esclusione dell'arbitrato dall'ambito di applicazione ratione materiae del regolamento n. 44/2001, come pure, successivamente, del regolamento n. 1215/2012 (art. 1, par. 2, e considerando n. 12 del preambolo) non pregiudica l'applicazione del regolamento a un'azione introdotta innanzi ai giudici di uno Stato membro che non abbia per oggetto l'accordo arbitrale in quanto tale, bensì, come avveniva nel caso di specie, il merito della controversia. (si vedano i par. 19 ss. della motivazione; v. anche, sulla sentenza e la problematica che affronta, l'articolo del docente "Emanazione di provvedimenti inibitori a sostegno della competenza arbitrale e reciproca fiducia tra i sistemi giurisdizionali degli Stati membri dell'Unione europea", nella sezione File dell'aula Teams del corso).

    • F. Marongiu Buonaiuti, L’accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione tra l’Unione europea e il Regno Unito e il diritto internazionale privato

      Articolo pubblicato online in open access sulla rivista Eurojus. Affronta le conseguenze della Brexit per l'applicazione degli strumenti dell'Unione europea in materia di cooperazione giudiziaria civile, con riferimento, tra l'altro, alla libertà per i giudici del Regno Unito di applicare la dottrina del forum non conveniens e di emanare anti-suit injunctions senza dover soggiacere ai limiti insiti nel principio della reciproca fiducia tra i sistemi giurisdizionali degli Stati membri dell'Unione europea, evidenziati dalla Corte di giustizia nelle sentenze Owusu, Turner e Allianz, sopra riportate.

  •  La disciplina della competenza giurisdizionale in materia civile e commerciale, segue: litispendenza e connessione

    In questa cartella si raccolgono alcune sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea che hanno affrontati i principali problemi interpretativi posti dalla disciplina della litispendenza e connessione tra procedimenti pendenti innanzi a giudici di Stati membri diversi in base alle norme, un tempo, degli articoli 21 e 22 della Convenzione di Bruxelles del 1968 (poi articoli 27 e 28 del regolamento CE n. 44/2001 (Bruxelles I) e attualmente articoli 29 e 30 del regolamento UE n. 1215/2012 (Bruxelles I-bis))

    • Corte di giustizia CE, sentenza 19 maggio 1998, in causa C-351/96, Drouot assurances c. Consolidated Metallurgical Industries

      Nella sentenza la Corte di giustizia si sofferma sul presupposto dell'identità delle parti dei due procedimenti pendenti, al fine dell'applicazione della disciplina in materia di litispendenza recata, al tempo, dall'art. 21 della Convenzione di Bruxelles del 1968 (ora art. 29 del regolamento UE n. 1215/2012), con riferimento a una situazione in cui in uno dei due procedimenti era parte l'assicuratore del responsabile, mentre nell'altro era parte quest'ultimo personalmente. Al riguardo, la Corte ha chiarito che affinché possa affermarsi l'identità delle parti tra i due procedimenti occorre accertare che l'assicuratore in uno dei due procedimenti e l'assicurato nell'altro avessero agito nel perseguimento dei medesimi ed inscindibili interessi. (v. par. 14 ss. della motivazione)

    • Corte di giustizia CE, sentenza 8 dicembre 1987, in causa 144/86, Gubisch Maschinenfabrik c. Palumbo

      Nella sentenza la Corte di giustizia si sofferma sul presupposto dell'identità dell'oggetto delle due domande pendenti innanzi a giudici di Stati membri differenti, al fine dell'applicazione della disciplina della litispendenza ai sensi, al tempo, dell'art. 21 della Convenzione di Bruxelles del 1968 (ora art. 29, regolamento UE n. 1215/2012, c.d. Bruxelles I-bis). Al riguardo, la Corte di giustizia ha affermato che il presupposto in questione debba formare oggetto di un'interpretazione autonoma rispetto ai sistemi giuridici nazionali degli Stati membri interessati, che tenga conto della finalità dell'istituto della litispendenza, che è costituita dalla prevenzione dell'emanazione di sentenze incompatibili da parte di giudici di diversi paesi membri, ciò che è di ostacolo ad una piena attuazione di uno spazio giudiziario europeo nel quale le decisioni giudiziarie possano circolare liberamente, e cioè essere riconosciute senza incontrare ostacoli negli ordinamenti giuridici degli altri Stati membri. Alla luce di tale finalità, il presupposto dell'identità dell'oggetto tra le due domande pendenti deve essere inteso con sufficiente ampiezza, in termini tali da ricomprendere l'ipotesi in cui in una delle due cause si domandi l'esecuzione di uno stesso contratto, e nell'altra se ne domandi l'annullamento ovvero la risoluzione, in quanto la forza vincolante del contratto in questione si trova al centro delle due domande. (v. par. 8 ss. della motivazione)

    • Corte di giustizia CE, sentenza 6 dicembre 1994, in causa C-406/92, Tatry (The owners of the cargo lately laden on board the ship) c. Maciej Rataj (The owners of the ship)

      Nella sentenza, la Corte di giustizia chiarisce ulteriormente il profilo dell'identità dell'oggetto delle due domande pendenti innanzi a giudici di Stati membri diversi ai fini dell'applicazione della regola sulla litispendenza di cui, al tempo, all'art. 21 della Convenzione di Bruxelles del 1968 (ora art. 29 del regolamento UE n. 1215/2012 o Bruxelles I-bis), affermando che l'interpretazione estensiva già accolta al riguardo nella propria precedente sentenza Gubisch c. Palumbo (v. supra, in questa stessa cartella) deve seguirsi anche nel caso in cui la domanda volta a una pronuncia di accertamento negativo della responsabilità sia stata introdotta anteriormente alla domanda volta alla condanna all'esecuzione dell'obbligazione controversa. La Corte si è parallelamente soffermata anche sul presupposto dell'identità delle parti tra i due procedimenti (sul quale v. anche la successiva sentenza Drouot assurances, in questa stessa cartella), affermando che nell'ipotesi in cui non tutti i soggetti che sono parti del procedimento instaurato successivamente siano al tempo stesso parti anche del procedimento instaurato precedentemente la regola della litispendenza e, conseguentemente, l'obbligo per il giudice successivamente adito di sospendere il procedimento, opererà solo nei confronti di quei soggetti che siano parti di entrambi i procedimenti, mentre il procedimento introdotto successivamente dovrà continuare nei confronti di coloro che sono parti solamente di quest'ultimo procedimento. In quest'ultimo caso, nondimeno, il giudice successivamente adito potrà valutare l'opportunità di sospendere ugualmente il procedimento, in applicazione della regola in materia di connessione di cui, al tempo alll'art. 22 della Convenzione di Bruxelles del 1968 (ora art. 30, regolamento UE n. 1215/2012 o Bruxelles I-bis), ove dalla parallela prosecuzione dei due giudizi pur tra parti non coincidenti possa sorgere il rischio di pervenire a decisioni inconciliabili. (v. par. 29 ss., 37 ss. della motivazione)

    • Corte di giustizia CE, sentenza 7 giugno 1984, in causa 129/83, Zelger c. Salinitri

      Nella sentenza la Corte di giustizia chiarisce le modalità nelle quali si debba pervenire all'individuazione del giudice precedentemente adito, al fine dell'applicazione della regola in materia di litispendenza di cui all'art 21 della Convenzione di Bruxelles del 1968. Al riguardo, stante il silenzio della regola come al tempo formulata sul punto, e considerata la diversità delle modalità di instaurazione dei procedimenti in materia civile negli Stati membri della allora Comunità europea, la Corte ha affermato che il momento introduttivo di ciascuno dei due procedimenti pendenti innanzi a giudici di due diversi Stati membri dovesse essere determinato in base alle regole processuali applicabili in ciascuno di tali Stati, avendo riguardo in entrambi al momento del rispettivo iter processuale nel quale la causa possa considerarsi definitivamente pendente. Per risolvere la complessità di questa valutazione, il regolamento n. 44/2001 (c.d. Bruxelles I) ha introdotto nell'art. 30 una regola apposita, poi trasfusa, con alcune puntualizzazioni, nell'art. 32 del regolamento n. 1215/2012, in base alla quale dovrà aversi riguardo, come momento determinativo al fine dell'applicazione della regola sulla litispendenza, non già al momento nel quale ciascuno dei due procedimenti debba considerarsi definitivamente pendente, bensì al momento del compimento del primo atto processuale rilevante al fine dell'instaurazione del procedimento, e cioè, nei procedimenti che si instaurano col previo deposito dell'atto introduttivo presso il giudice, al momento in cui l'atto stesso viene depositato, e, nei procedimenti che si instaurano con la previa notifica dell'atto introduttivo al convenuto (come nell'ordinario rito civile italiano), al momento in cui l'autorità competente per procedere alla notificazione dell'atto riceve l'atto da notificare. L'art. 32 del regolamento n. 1215/2012 ha chiarito, conformemente all'interpretazione accolta dalla Corte di giustizia con riferimento all'art. 30 del regolamento n. 44/2001, che per "autorità competente per la notificazione" deve intendersi la prima autorità che riceve l'atto da notificare, vale a dire, nelle situazioni in cui l'atto deve notificarsi al convenuto domiciliato in uno Stato membro diverso da quello dell'attore, l'autorità dello Stato membro mittente.

  •  La disciplina della competenza giurisdizionale in materia civile e commerciale - segue: gli accordi di scelta del foro

    In questa cartella si raccolgono alcune sentenze della Corte di giustizia relative all'interpretazione della disposizione ora contenuta nell'art. 25 del regolamento UE n. 1215/2012 (c.d. Bruxelles I-bis, già art. 23 del regolamento CE n. 44/2001, c.d. Bruxelles I, e prima ancora art. 17 della Convenzione di Bruxelles del 1968), concernente gli accordi di scelta del foro.

    • Corte di giustizia CE, sentenza 16 marzo 1999, in causa C-159/97, Trasporti Castelletti Spedizioni Internazionali SpA c. Hugo Trumpy SpA

      Nella sentenza, la Corte di giustizia ha affermato che tra le forme alternative nelle quali può validamente concludersi un accordo di scelta del foro ai sensi, al tempo, dell'art. 17 della Convenzione di Bruxelles del 1968, ora art. 25 del regolamento UE n. 1215/2012, c.d. Bruxelles I-bis, rientrano, nel contesto del commercio internazionale, le forme previste dagli usi del settore commerciale considerato, che, all'interno di tale settore, sono di uso a tal punto costante da doversi considerare note o quantomeno agevolmente riconoscibili dagli operatori del commercio internazionale nel settore commerciale considerato, secondo la soluzione poi recepita nell'art. 23 del regolamento CE n. 44/2001, c.d. Bruxelles I e poi transitata nell'attuale art. 25 del regolamento UE n. 1215/2012 (c.d. Bruxelles I-bis) (v. par. 13 ss. della motivazione).

    • Corte di giustizia CE, sentenza 9 dicembre 2003, in causa C-116/02, Gasser c. Misat srl

      Nella sentenza, la Corte di giustizia ha affermato che, in base alla disciplina in materia di accordi di scelta del foro e di litispendenza risultante, rispettivamente, dagli articoli 17 e 21 della Convenzione di Bruxelles del 1968 (cfr. ora, invece, gli articoli 29 e 31, par. 2, del regolamento UE n. 1215/2012, c.d. Bruxelles I-bis), ove un giudice di uno Stato membro diverso da quello i cui giudici siano designati tramite un accordo di scelta del foro sia stato adito prima dei giudici di quest'ultimo Stato membro, sarà competenza del giudice precedentemente adito pronunciarsi sulla validità ed efficacia dell'accordo di scelta del foro, mentre il giudice successivamente adito, pur designato nell'accordo stesso, dovrà sospendere il procedimento in base alla regola sulla litispendenza finché il giudice precedentemente adito non si sia pronunciato al riguardo. La Corte di giustizia ha inoltre affermato che a questa regola non possa farsi eccezione, in base al principio della reciproca fiducia tra i sistemi giurisdizionali degli Stati membri, nel caso in cui il giudice precedentemente adito appartenga a un sistema giudiziario (quello italiano, nella specie) noto per un'eccessiva durata media dei procedimenti (v. i paragrafi 41 ss., 70 ss. della motivazione). L'inconveniente derivante dalla soluzione accolta dalla Corte, costituito dall'offrire un indebito incentivo al ricorso a pratiche dilatorie ad opera della parte non interessata a dare attuazione all'accordo di scelta del foro, la quale avrebbe potuto introdurre strategicamente un'azione davanti a un giudice di uno Stato membro diverso da quello designato nell'accordo al fine di precludere quantomeno per un certo tempo la possibilità per la controparte di intentare un'azione davanti al giudice designato nell'accordo stesso, è stato affrontato nel regolamento UE n. 1215/2012, con l'introduzione, voluta segnatamente da parte del Regno Unito, di un'eccezione al normale operare della regola della litispendenza nel caso in questione, contenuta nell'art. 31, par. 2, del regolamento.

  •  La disciplina della competenza giurisdizionale in materia civile e commerciale - Segue: i fori esclusivi

    Si riportano in questa cartella alcune sentenze della Corte di giustizia concernenti l'interpretazione dei criteri di competenza giurisdizionale esclusiva contenuti attualmente nell'art. 24 del regolamento UE n. 1215/2012, c.d. Bruxelles I bis (già art. 16 della Convenzione di Bruxelles del 1968 e art. 22 del regolamento CE n. 44 /2001, c.d. Bruxelles I), con particolare riferimento al criterio di competenza giurisdizionale esclusiva previsto dal par. 4 della norma, con riferimento alle controversie concernenti la registrazione o la validità di un diritto di proprietà intellettuale.

    • Corte di giustizia CE, sentenza 13 luglio 2006, in causa C-4/03, GAT c. LuK

      Nella sentenza, la Corte di giustizia ha affermato che la competenza esclusiva dei giudici dello Stato membro di registrazione di un diritto di proprietà intellettuale, prevista, al tempo, dall'art. 16, punto 4, della Convenzione di Bruxelles del 1968, sussiste tanto nei casi in cui la questione di validità del diritto di proprietà intellettuale sia proposta in via di azione, sia quando sia proposta in via di eccezione dal convenuto in un'azione per violazione del diritto stesso, come ora espressamente disposto dall'art. 24, punto 4, del regolamento UE n. 1215/2012 (c.d. Bruxelles I bis) (si vedano i paragrafi 13 ss. della motivazione).

    • Corte di giustizia CE, sentenza 13 luglio 2006, in causa C-539/03, Roche Nederland BV c. Primus e Goldenberg

      Nella sentenza la Corte di giustizia ha affermato che la disposizione sulla connessione attributiva per cumulo soggettivo di cui, al tempo, all'art. 6, n. 1, della Convenzione di Bruxelles del 1968, ora art. 8, n. 1, del regolamento UE n. 1215/2012 (c.d. Bruxelles I-bis) non trova applicazione in relazione a controversie rientranti nel foro esclusivo di cui all'art. 16, n. 4, della Convenzione (ora art. 24, n. 4, del regolamento UE n. 1215/2012 o Bruxelles I-bis), nei casi in cui, venendo in considerazione la validità di un brevetto europeo, si sia in presenza di una pluralità di azioni concernenti parti nazionali diverse di un medesimo brevetto europeo, dal momento che ciascuna azione si rivela suscettibile di incidere unicamente sulla singola parte nazionale considerata, non ponendosi quindi un rischio concreto di pervenire a decisioni inconciliabili in conseguenza di una trattazione separata delle diverse azioni (v. par. 18 ss. della motivazione).

    • Corte di giustizia UE, sentenza 12 luglio 2012, in causa C-616/2010, Solvay SA c. Honeywell Fluorine Products Europe BV

      Nella sentenza, nella quale, diversamente dal caso oggetto della precedente sentenza Roche Nederland (v. supra in questa stessa cartella), venivano in considerazione diverse azioni relative ad una medesima parte nazionale di un brevetto europeo, la Corte di giustizia ha ritenuto applicabile la disposizione al tempo contenuta nell'art. 6, n. 1, del regolamento CE n. 44/2001 (c.d. Bruxelles I), ora art. 8, par. 1, del regolamento UE n. 1215/2012 (c.d. Bruxelles I-bis) in relazione ad una pluralità di azioni contro diversi convenuti per la violazione di tale parte nazionale del brevetto europeo, sussistendo, in tale caso, un rischio concreto di pervenire a decisioni inconciliabili in caso di trattazione separata delle domande. La Corte ha altresì ritenuto che in relazione alla situazione in esame l'applicabilità del foro esclusivo di cui, al tempo all'art. 22, n. 4 del regolamento n. 44/2001 (c.d. Bruxelles I, ora art. 24, par. 4, del regolamento UE n. 1215/2012 o Bruxelles I-bis), non osti all'emanazione di provvedimenti cautelari da parte di giudici di altri Stati membri in base alla regola al tempo contenuta nell'art. 31 del regolamento n. 44/2001, ora art. 35 del regolamento UE n. 1215/2012 (v. par. 17 ss. e 31 ss. della motivazione).

  •  La disciplina della competenza giurisdizionale in materia civile e commerciale - segue: il foro c.d. imperativo per i contratti conclusi da consumatori

    La giurisprudenza raccolta in questa cartella concerne l'interpretazione delle disposizioni di carattere imperativo concernenti la competenza giurisdizionale in materia di contratti conclusi da consumatori (articoli 17-19 del regolamento n. 1215/2012, c.d. Bruxelles I-bis, già articoli 13-15 della Convenzione di Bruxelles del 1968 e articoli 15-17 del regolamento n. 44/2001, c.d. Bruxelles I). Si tratta di disposizioni di carattere imperativo dal momento che introducono una disciplina ispirata dall'intento di proteggere il consumatore in quanto parte debole del contratto, la quale si presta ad essere derogata unicamente in senso più favorevole al consumatore, secondo una logica simile a quella che ispira le parallele sezioni del regolamento Bruxelles I-bis dedicate alla competenza giurisdizionale nelle controversie relative ai contratti di assicurazione e ai contratti individuali di lavoro.

    • Corte di giustizia UE, sentenza 5 dicembre 2013, in causa C-508/12, Vapenik c. Thurner

      La sentenza chiarisce la nozione di contratto concluso da un consumatore, chiarendo che non può considerarsi tale un contratto concluso tra due privati, dei quali nessuno dei due agisca a titolo professionale nella conclusione del contratto (si vedano i paragrafi 30 ss. della motivazione).

    • Corte di giustizia CE, sentenza 20 gennaio 2005, in causa C-464/01, Gruber c. Bay Wa AG

      La sentenza chiarisce i presupposti dell'applicazione della disciplina imperativa della competenza giurisdizionale in materia di contratti conclusi dai consumatori, con particolare riferimento ai contratti conclusi per una finalità mista, in parte personale, in parte professionale (caso dell'imprenditore agricolo che acquista da un rivenditore delle tegole per il rifacimento del tetto di un edificio rurale, destinato in parte ad abitazione dell'imprenditore agricolo e della sua famiglia, e in parte a stalla). La disciplina relativa ai contratti conclusi dai consumatori, in quanto presenta carattere derogatorio rispetto all'ordinaria disciplina basata sulla scelta tra il foro generale del domicilio del convenuto e il foro speciale delle obbligazioni contrattuali, è inapplicabile in un caso di questo genere, salvo ove la finalità professionale della transazione sia da considerarsi del tutto trascurabile in rapporto alla finalità strettamente personale o familiare (v. par. 46 ss. della motivazione).

    • Corte di giustizia UE, sentenza 7 dicembre 2010, cause riunite C-585/08 e C-144/09, Pammer e Hotel Alpenhof

      La sentenza chiarisce in quali circostanze si possa ritenere che un imprenditore abbia diretto la propria attività imprenditoriale o commerciale verso lo Stato membro di domicilio del consumatore, per i fini dell'art. 17, par. 1, lett. c), del regolamento n. 1215/2012, in relazione alla promozione delle attività imprenditoriali tramite il sito Internet dell'imprenditore: v. par. 74 ss. della motivazione.

  •  La disciplina della competenza giurisdizionale in materia civile e commerciale - segue: il foro speciale delle controversie in materia di illeciti civili dolosi e colposi

    Segue in questa cartella la giurisprudenza della Corte di giustizia relativa al foro speciale in materia di illeciti civili dolosi o colposi (già art. 5, n. 3, della Convenzione di Bruxelles del 1968 e poi del regolamento n. 44/2001 (Bruxelles I), ora art. 7, n. 2, del regolamento n. 1215/2012 (c.d. Bruxelles I-bis).

    • Corte di giustizia delle Comunità europee, sentenza 30 novembre 1976, in causa 21/76, Bier c. Mines de potasse d'Alsace

      In questa sentenza la Corte di giustizia si è pronunciata sull'interpretazione del criterio speciale di competenza giurisdizionale contemplato, al tempo, nell'art. 5, n. 3, della Convenzione di Bruxelles del 1968, corrispondente all'attuale art. 7, n. 2, del regolamento n. 1215/2012 (c.d. Bruxelles I-bis, v. il testo nella cartella "testi normativi di riferimento generale"), per il quale in materia di fatti illeciti dolosi e colposi sono competenti, in alternativa al foro generale del domicilio del convenuto, i giudici del luogo nel quale l'evento dannoso è avvenuto. Al riguardo, la Corte ha chiarito che, in una situazione come quella del caso di specie, nella quale la condotta dannosa si era svolta in uno Stato membro, la Francia, nel cui territorio la società Mines de potasse d'Alsace aveva sversato nel fiume Reno dei residui della lavorazione delle proprie miniere, mentre l'evento dannoso causato dalla condotta si era manifestato in un altro Stato membro, i Paesi Bassi, dove la società Bier aveva utilizzato l'acqua contaminata del fiume per irrigare le proprie coltivazioni, la parte attrice poteva a propria scelta introdurre la propria azione tanto davanti ai giudici del luogo della condotta quanto davanti ai giudici del luogo in cui si era prodotto il danno (v. i punti 13 ss. della motivazione in diritto, p. 11 ss. del file).

    • Corte di giustizia delle Comunità europee, sentenza 19 settembre 1995, in causa C-364/93, Marinari c. Lloyd's Bank

      Nella sentenza la Corte di giustizia si è pronunciata nuovamente sull'interpretazione dell'espressione "luogo in cui l'evento dannoso è avvenuto" di cui all'art. 5, n. 3, della Convenzione di Bruxelles del 1968, ora art. 7, n. 2, del regolamento (UE) n. 1215/2012 (c.d. Bruxelles I-bis, testo nella cartella "testi normativi di riferimento generale"). Al riguardo, la Corte ha chiarito per luogo in cui l'evento dannoso è avvenuto deve intendersi il luogo nel quale si è prodotto il danno iniziale (l'ingiustificato arresto dell'imprenditore italiano Marinari a Londra, col sequestro dei titoli al portatore da lui presentati per l'incasso a una filiale della Lloyd's Bank), e non il luogo, eventualmente situato in un diverso Stato membro, nel quale si siano prodotte le conseguenze indirette del danno (le ripercussioni dell'increscioso episodio sulla sua reputazione commerciale a Pisa, dove svolgeva la propria attività imprenditoriale - v. i punti 11 ss. della motivazione della sentenza, p. 6 ss. del file).

    • Corte di giustizia delle Comunità europee, sentenza 7 marzo 1995, in causa C-68/93, Shevill c. Presse Alliance

      Nella sentenza, la Corte di giustizia si è nuovamente pronunciata sull'interpretazione del criterio speciale di competenza giurisdizionale di cui all'art. 5, n. 3, della Convenzione di Bruxelles del 1968 (ora art. 7, n. 2, del regolamento (UE) n. 1215/2012, c.d. Bruxelles I-bis, nella cartella "testi normativi di riferimento generale"), con riferimento alle azioni risarcitorie per danni da diffamazione a mezzo stampa. Al riguardo, la Corte di giustizia ha affermato che la parte attrice potrà introdurre la propria azione, oltre che innanzi ai giudici dello Stato membro del domicilio della parte convenuta in base al foro generale, innanzi ai giudici dello Stato membro in cui è stabilito l'editore della pubblicazione diffamatoria, i quali saranno competenti a pronunciarsi sull'integralità dei danni lamentati dalla persona diffamata, o, in alternativa, davanti ai giudici degli altri Stati membri nei quali la pubblicazione diffamatoria sia stata diffusa e nei quali la persona in questione possa lamentare di aver subito un pregiudizio alla propria reputazione, limitatamente, in quest'ultimo caso, ai danni prodottisi nel singolo Stato membro (soluzione interpretativa detta della "Mosaikbetrachtung", ovvero del "trattamento a mosaico", in quanto potenzialmente implicante una frammentazione, tendenzialmente non auspicabile, del contenzioso - v. i punti 19 s. della motivazione, p. 10 ss. del file).

    • Corte di giustizia dell'Unione europea, sentenza 25 ottobre 2011, cause riunite C-509/09 e C-161/10, eDate Advertising e Martinez

      Nella sentenza la Corte di giustizia è ritornata sull'interpretazione del criterio speciale di competenza giurisdizionale contenuto, al tempo, nell'art. 5, n. 3, del regolamento (CE) n. 44/2001, c.d. Bruxelles I, ora corrispondente all'art. 7, n. 2, del regolmento (UE) n. 1215/2012 (c.d. Bruxelles I-bis, v. il testo nella cartella "testi normativi di riferimento generale"), con riferimento alle azioni risarcitorie per danni da informazioni diffamatorie pubblicate online. Al riguardo, la Corte di giustizia ha adattato la soluzione interpretativa adottata nella precedente sentenza Shevill del 1995 (v. in questa stessa cartella) con riferimento alla diffamazione da pubblicazioni a mezzo stampa, contemplando, oltre alle alternative già considerate di un'azione per l'integralità dei danni lamentati innanzi ai giudici dello Stato membro nel quale ha sede l'editore, da identificarsi, nel caso di informazioni pubblicate online, con colui che ha emesso le informazioni diffamatorie sul web, ovvero di un'azione dinanzi ai giudici di ciascuno Stato membro in cui le informazioni diffamatorie siano accessibili o lo siano state, limitatamente ai danni concretamente subiti in ciascuno di tali Paesi, la possibilità per la persona che si ritenga diffamata da informazioni pubblicate online di agire per l'integralità dei danni lamentati innanzi ai giudici dello Stato membro in cui si trova il centro degli interessi della persona diffamata. Quest'ultima soluzione, che appare configurarsi alla stregua di un forum actoris che pone la persona danneggiata in una posizione di vantaggio quanto all'individuazione del foro internazionalmente competente, trova giustificazione, secondo quanto ritenuto dalla Corte di giustizia, nella particolare lesività di informazioni diffamatorie diffuse sul web, in considerazione della estrema facilità con la quale possono circolare ed essere accessibili da diversi Paesi (v. i punti 40 ss. della motivazione della sentenza, p. 18 ss. del file).

    • Corte di giustizia dell'Unione europea, sentenza 17 giugno 2021, in causa C-800/19, Mittelbayerischer Verlag KG c. SM

      Nella sentenza, la Corte di giustizia ritorna sulla questione, già affrontata nella precedente sentenza eDate Advertising e Martinez (v. supra in questa stessa cartella), dell'applicabilità del criterio di competenza giurisdizionale speciale ora contenuto nell'art 7, n. 2, del regolamento UE n. 1215/2012 (c.d. Bruxelles I-bis, corrispondente all'art. 5, n. 3, della Convenzione di Bruxelles del 1968 e del regolamento CE n. 44/2001, c.d. Bruxelles I), con riferimento alle azioni per il risarcimento del danno derivante da diffamazione a mezzo Internet. Diversamente dal caso oggetto di quella sentenza, in questo caso l'attore faceva valere una lesione dei suoi diritti della personalità quale componente di un'entità collettiva (nella specie, la nazione polacca), senza che la pubblicazione diffamatoria (che aveva erroneamente indicato il lager nazista di Treblinka, sito nel territorio polacco occupato dalla Germania durante la seconda guerra mondiale, come un lager polacco) lo riguardasse individualmente. In un caso come quello di specie, la Corte ha affermato che il criterio di competenza giurisdizionale consistente nel centro degli interessi della persona asseritamente lesa, adottato nella precedente sentenza eDate, è invocabile solamente quando il contenuto pubblicato su Internet contenga informazioni che consentano oggettivamente di risalire, direttamente o indirettamente, al soggetto che si pretende leso (v. i punti 36 ss. della motivazione, p. 8 s. del file).

    • Corte di giustizia dell'Unione europea, Conclusioni dell'Avv. gen. Hogan nella causa C-251/20, GTflix Tv c. DR, presentate il 16 settembre 2021

      Le conclusioni dell'Avvocato generale nella causa Gtflix TV c. DR, ancora pendente davanti alla Corte di giustizia, affrotnano la questione dell'opportunità di superare, nelle azioni volte al risarcimento dei danni causati da pubblicazioni diffamatorie a mezzo Internet, il c.d. principio del mosaico (Mosaikbetrachtung) adottato dalla Corte stessa nelle proprie precedenti sentenze Shevill del 1995 relativamente alla diffamazione a mezzo stampa, e eDate Advetising, relativamente alla diffamazione a mezzo Internet. Diversamente da quest'ultima, in questo caso il danno era lamentato da una società commerciale, relativamente alla quale poteva quindi ritenersi opportuno limitare l'individuazione del luogo in cui si era prodotto il danno causato dalla pubblicazione diffamatoria allo Stato membro in cui la società aveva la propria sede. L'Avvocato generale propone nondimeno alla Corte di giustizia di confermare la soluzione adottata nella sentenza eDate, subordinando, al tempo stesso, la possibilità di affermare la competenza giurisdizionale dei giudici degli altri Paesi membri in cui la pubblicazione diffamatoria possa essere stata accessibile, ad alcuni requisiti volti a dimostrare l'effettivo prodursi di un danno all'immagine della società in questione, onde evitare una potenziale moltiplicazione dei fori competenti e scoraggiare eventuali "azioni bavaglio", volte a limitare ingiustificatamente la discussione pubblica quanto all'operato di determinate società commerciali (v. i punti 58 ss. delle conclusioni, p. 9 ss. del file).

    • Corte di giustizia UE, sentenza 21 dicembre 2021, causa C-251/20, Gtflix TV c. D. R.

      Testo della sentenza emanata dalla Corte di giustizia sulla causa Gtflix TV c. D. R., oggetto delle conclusioni dell'Avvocato generale di cui sopra.

    • F. Marongiu Buonaiuti, Jurisdiction Concerning Actions for Disparaging Statements on the Internet: The Persistence of the Mosaic Approach

      Link a uno scritto del docente di commento alla sentenza della Corte di giustizia relativa alla causa Gtflix TV c. D. R. (di cui sopra), pubblicato in open access sulla rivista online European Papers, 2022, n. 1, pp. 345-360.

    • Risoluzione dell'Institut de droit international, Sessione dell'Aja, 2019, sulle violazioni dei diritti della personalità tramite l'uso di Internet

      La risoluzione, strumento di carattere non vincolante avente un valore meramente persuasivo ed esortativo in considerazione dell'autorevolezza del consesso scientifico internazionale dal quale promana, formula alcuni principi destinati ad orientare la scelta dei criteri da seguire quanto alla giurisdizione e alla legge applicabile in relazione alle azioni giudiziarie per violazioni dei diritti della personalità tramite Internet (cfr. le sentenze eDate Advertising e Mittelbayerischer Verlag della Corte di giustizia UE, e le conclusioni dell'Avvocato generale nella causa Gtflix TV, in questa cartella).

    • Risoluzione dell'Institut de droit international, Sessione dell'Aja, 2019, sulle violazioni dei diritti della personalità tramite l'uso di Internet

      Presentazione esplicativa della Risoluzione (v. supra in questa stessa cartella), dovuta ai Rapporteurs Symeon Symeonides e Erik Jayme, disponibile sul sito web dell'Institut de droit international www.idi-iil.org

  •  La disciplina europea della giurisdizione in materia civile e commerciale - Il foro speciale delle controversie in materia contrattuale

    In questa cartella si raccolgono alcune delle più significative sentenze rese dalla Corte di giustizia dell'Unione europea relativamente all'interpretazione dei criteri di competenza giurisdizionale recati, dapprima, dalla Convenzione di Bruxelles del 1968 sulla competenza giurisdizionale e il riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, e successivamente dai regolamenti n. 44/2001 (c.d. Bruxelles I) e n. 1215/2012 (c.d. Bruxelles I-bis, attualmente vigente, v. supra nella cartella "testi normativi di riferimento generale") che la hanno sostituita, iniziando con la giurisprudenza relativa al criterio speciale di competenza giurisdizionale per le controversie in materia contrattuale (già art. 5, n. 1, della Convenzione di Bruxelles del 1968, poi art. 5, n. 1, del regolamento CE n. 44/2001 (Bruxelles I), ora art. 7, n, 1 del regolamento UE n. 1215/2012 (Bruxelles I-bis).

    • Corte di giustizia UE, sentenza 9 giugno 2011, in causa C-87/10, Electrosteel Europe SA c. Edil Centro SpA

      Nella sentenza la Corte di giustizia afferma che al fine dell'identificazione del luogo di consegna dei beni ai fini della regola oggi contenuta nell'art. 7, n. 1, lettera b), del regolamento n. 1215/2012 o Bruxelles I-bis può aversi riguardo anche ai termini commerciali standard, c.d. Incoterms, adottati dalla Camera di commercio internazionale, quale il termine EXW - Ex Works, cioè franco nostro magazzino, in quanto incorporati nel contratto.

    • Corte di giustizia CE, sentenza 26 febbraio 2010, in causa C-381/08, Car Trim GmbH v. Key Safety Systems Srl

      Nella sentenza, la Corte di giustizia chiarisce la distinzione tra contratti di vendita di beni e di prestazione di servizi per i fini della regola di cui all'attuale art. 7, n. 1, lettera b) del regolamento n. 1215/2012 (Bruxelles I-bis). La Corte si sofferma inoltre sull'identificazione del luogo di consegna dei beni in relazione ai contratti di vendita, chiarendo chea tal fine occorre basarsi su elementi di carattere materiale.

    • Corte di giustizia CE, sentenza 3 maggio 2007, in causa C-386/05, Color Drack GmbH c. Lexx International Vertriebs GmbH

      Nella sentenza, la Corte di giustizia si pronuncia sull'interpretazione della regola attualmente contenuta nell'art. 7, n. 1, lettera b) del regolamento n. 1215/2012 (Bruxelles I-bis), affermando che come luogo di consegna in relazione ai contratti di vendita di beni deve intendersi, ove si tratti di beni da consegnarsi in più luoghi all'interno del medesimo Stato membro, il luogo della consegna principale. Ove non sia possibile individuare un luogo di consegna principale per valore e consistenza dei beni da consegnare, è lasciata scelta all'attore tra i giudici dei diversi luoghi di consegna previsti nel contratto.

    • Corte di giustizia CE, sent. 29 giugno 1994, in causa C-288/92, Custom Made Commercial Ltd c. Stawa Metallbau GmbH

      Nella sentenza, relativa all'interpretazione del criterio speciale di competenza giurisdizionale relativo alle controversie in materia contrattuale, di cui, nel testo della Convenzione di Bruxelles del 1968, all'art. 5, n. 1 (ora art. 7, n. 1, lettera a), del regolamento UE n. 1215/2012, la Corte di giustizia afferma che ai fini dell'individuazione del luogo di esecuzione dell'obbligazione dedotta in giudizio può farsi riferimento alle disposizioni contenute in una convenzione di diritto materiale uniforme che sia applicabile al contratto di cui è causa (nella specie, si applicava la Convenzione di Vienna del 1980 sui contratti di vendita internazionale di beni mobili)

    • Corte di giustizia delle Comunità europee, sentenza 6 ottobre 1976, in causa 14/76, De Bloos c. Bouyer

      La sentenza ha per oggetto l'interpretazione dell'espressione "obbligazione dedotta in giudizio" ai fini dell'applicazione del criterio speciale di competenza giurisdizionale recato, al tempo, dall'art. 5, n. 1, della Convenzione di Bruxelles del 1968, corrispondente al criterio attualmente contemplato dall'art. 7, n. 1, lettera a), del regolamento n. 1215/2012 (c.d. Bruxelles I-bis, v. il testo nella cartella "testi normativi di riferimento generale"). Al riguardo, la Corte di giustizia ha affermato che per "obbligazione dedotta in giudizio" deve intendersi quell'obbligazione scaturente dal contratto il cui inadempimento viene fatto valere dalla parte attrice a fondamento della propria domanda giudiziale (si vedano i punti 11 e seguenti della motivazione in diritto della sentenza, alle pagine 11 ss. del file).

    • Corte di giustizia delle Comunità europee, sentenza 6 ottobre 1976, in causa 12/76, Tessili c. Dunlop

      In questa sentenza la Corte di giustizia delle Comunità europee si è pronunciata sull'individuazione del luogo di esecuzione dell'obbligazione dedotta in giudizio, per i fini del criterio speciale di competenza giurisdizionale in materia contrattuale di cui all'art. 5, n. 1, della Convenzione di Bruxelles del 1968, corrispondente al criterio attualmente previsto dall'art. 7, n. 1, lettera a), del regolamento n. 1215/2012 (c.d. Bruxelles I-bis, v. il testo nella cartella "testi normativi di riferimento generale"). Al riguardo, la Corte di giustizia ha affermato che tale luogo deve determinarsi in base alle clausole del contratto, ovvero, ove questo non disponga, in base alle norme della legge applicabile al contratto, da individuarsi in base alle norme di diritto internazionale privato del giudice adito (si vedano i punti 12 ss. della motivazione in diritto, a pagina 12 ss. del file. Si noti che, successivamente alla sentenza in esame, le norme di diritto internazionale privato in materia di obbligazioni contrattuali sono state unificate tra gli Stati membri della allora Comunità europea con la conclusione della Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, ora sostituita dal regolamento (CE) n. 593/2008 avente il medesimo oggetto (c.d. Roma I, v. il testo nella cartella "testi normativi di riferimento generale").

    • Corte di giustizia delle Comunità europee, sentenza 23 aprile 2009, in causa C-533/07, Falco Privatstiftung e Rabitsch c. Weller-Lindhorst

      Nella sentenza, la Corte di giustizia si è pronunciata sull'interpretazione dell'espressione "contratto di prestazione di servizi" contemplata, al tempo, nell'art. 5, n. 1, lettera b), secondo alinea, del regolamento n. 44/2001 concernente la competenza giurisdizionale e il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (c.d. Bruxelles I), che ha sostituito la Convenzione di Bruxelles del 1968. La medesima disposizione figura ora all'art. 7, n. 1, lettera b), secondo alinea, del regolamento n. 1215/2012 che lo ha sostituito (c.d. Bruxelles I-bis, v. il testo nella cartella "testi normativi di riferimento generale"). Al riguardo, la Corte di giustizia ha affermato che un contratto col quale il titolare di un diritto di proprietà intellettuale ne concede una licenza di sfruttamento contro un corrispettivo non può considerarsi un contratto di prestazione di servizi, mancando il presupposto di un'obbligazione di facere che deve considerarsi insito nella nozione di prestazione di servizi (v. i punti 28 ss. della motivazione della sentenza, pagina 13 del file). La Corte ha ulteriormente chiarito che nei casi in cui, conformemente all'art. 5, n. 1, lettera c), del regolamento n. 44/2001 (ora art. 7, n. 1, lettera c) del regolmento n. 1215/2012), i criteri di cui alla lettera b) non sono applicabili, occorre fare riferimento al criterio di cui alla lettera a), che prevede la competenza giurisdizionale del luogo di esecuzione dell'obbligazione dedotta in giudizio, tale criterio deve tuttora interpretarsi conformemente a quanto affermato dalla Corte di giustizia nelle sentenze relative all'interpretazione del corrispondente art. 5, n. 1 della Convenzione di Bruxelles (v. i punti 48 ss. della motivazione della sentenza, pagina 17 ss. del file. - Cfr. le sentenze De Bloos e Tessili del 1976 in questa cartella).

  •  La disciplina europea della giurisdizione in materia civile e commerciale: il regolamento Bruxelles I-bis - ambito di applicazione

     

    • Corte di giustizia CE, sentenza 15 febbraio 2007, causa C-292/05, Lechouritou c. Germania

      La sentenza ha ad oggetto l'interpretazione della nozione di "materia civile e commerciale" al fine della delimitazione dell'ambito di applicazione materiale della disciplina attualmente contenuta nel regolamento UE n. 1215/2012, c.d. Bruxelles I-bis. La sentenza ha anticipato quanto ora espressamente previsto nell'art. 1, par. 1, del regolamento, nel senso che non rientrano in tale ambito le domande volte all'affermazione della responsabilità di uno Stato per atti iure imperii, come lo sono gli atti poste in essere dalle forze armate dello Stato in questione nel corso di un conflitto (si trattava, nel caso di specie, degli atti criminosi perpetrati dalle forze armate del Terzo Reich tedesco durante l'occupazione militare del territorio greco nel corso della Seconda guerra mondiale - v. par. 27 ss. della motivazione).

  •  La legge applicabile al divorzio e alla separazione personale in base al regolamento (UE) n. 1259/2010 (c.d. "Roma III")

    In questa cartella si riporta una pronuncia della Corte di giustizia dell'Unione europea relativa all'interpretazione del regolamento (UE) n. 1259/2010 (c.d. Roma III), che istituisce una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale.

    • Corte di giustizia UE, sentenza 20 dicembre 2017, in causa C-372/16, Sahyouni

      Nella sentenza, la Corte di giustizia si pronuncia sull'interpretazione dell'espressione "divorzio" per i fini della determinazione dell'ambito di applicazione materiale del regolamento n. 1259/2010 sulla legge applicabile al divorzio e alla separazione personale, affermando che il regolamento non può ritenersi applicabile a forme di divorzio privato come quelle contemplate dal diritto di alcuni paesi di diritto islamico, come, nel caso di specie, la Siria, in base al quale lo scioglimento del matrimonio può avere luogo sulla base di una dichiarazione unilaterale del marito omologata da un tribunale religioso. La Corte di giustizia fa riferimento a questo riguardo a una serie di elementi desumibili da diverse disposizioni del regolamento, nonché dall'iter legislativo del regolamento stesso, dai quali si desume che il regolamento intenda applicarsi unicamente ai divorzi pronunciati o anche eventualmente omologati dall'autorità giudiziaria, in ogni caso in condizioni tali da garantire il contraddittorio tra i coniugi (si vedano i par. 35 ss. della motivazione).

  •  La legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali in base al regolamento (CE) n. 864/2007 (c.d. "Roma II")

    In questa cartella si raccolgono alcune pronunce di particolare rilievo rese dalla Corte di giustizia dell'Unione europea con riguardo all'interpretazione del regolamento (CE) n. 864/2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (c.d. "Roma II": v. il testo nella cartella "testi normativi di riferimento generale". Si veda anche, in proposito, la voce "Obbligazioni non contrattuali (diritto internazionale privato)" scritta dal docente per gli Annali dell'Enciclopedia del diritto (vol. VI, 2013, par. 1-20), il cui estratto è disponibile, per solo uso personale degli studenti frequentanti, nella sezione File dell'aula Teams del corso.

    • Risoluzione del Parlamento europeo recante raccomandazioni alla Commissione concernenti la modifica del regolamento CE n. 864/2007 (Roma II)

      Doc. A7-0152/2012 del 10 maggio 2012. Si veda il testo del prospettato art. 5-bis, da inserirsi nel testo del regolamento Roma II con riferimento alla legge applicabile alle violazioni della privacy e dei diritti della personalità.

    • Proposta modificata di regolamento europeo sulla legge applicabile alle obbligazioni non contrattuali

      Doc. COM (2006) 83 final. Si veda, quanto alla soluzione contemplata nella proposta modificata di regolamento presentata dalla Commissione europea a seguito degli emendamenti avanzati dal Parlamento europeo per quanto attiene alla legge applicabile alle violazioni della privacy e dei diritti della personalità, la relazione esplicativa della proposta, sub emendamento n. 57, p. 7 del documento.

    • Relazione del Parlamento europeo sulla proposta di regolamento europeo sulla legge applicabile alle obbligazioni non contrattuali (Roma II)

      Doc. A6-0211/2005 def. Si veda, con riferimento alla legge applicabile alle violazioni della privacy e dei diritti della personalità, l'emendamento n. 30, riferito all'art. 6 della proposta (p. 21 s. del documento).

    • Proposta di regolamento europeo sulla legge applicabile alle obbligazioni non contrattuali

      Testo dell'iniziale proposta di regolamento, presentata dalla Commissione europea nel 2003. Si veda in particolare, con riferimento alla legge applicabile alle violazioni della privacy e dei diritti della personalità, materia poi esclusa dall'ambito di applicazione del regolamento Roma II, l'art. 6 della proposta (p. 38 del documento) e la relativa relazione esplicativa (p. 18 ss.)

    • Corte di giustizia UE, sentenza 5 settembre 2024, in causa C-86/23, E.N.I., Y.K.I. c. Huk-Coburg-Allgemeine Versicherung AG

      La sentenza ha ad oggetto l'interpretazione dell'art. 16 del regolamento CE n. 864/2007 (Roma II) sulla legge applicabile alle obbligazioni non contrattuali, relativo alle norme di applicazione necessaria del foro, identificate, in coerenza con la definizione accolta nell'art. 9 del parallelo regolamento CE n. 593/2008 (Roma I) in materia di obbligazioni contrattuali, come quelle disposizioni della legge del foro che debbano essere applicate nonostante il richiamo fatto dalle norme di diritto internazionale privato alla legge di un ordinamento straniero. La questione riguardava nella specie il carattere di applicazione necessaria di determinate norme della legge bulgara, relative alla determinazione secondo equità del risarcimento dei danni morali patiti dai parenti stretti della vittima di un incidente stradale, in relazione ad un incidente verificatosi in Germania e coinvolgente cittadini bulgari stabiliti in Germania, nel quale l'autovettura che aveva causato l'incidente era assicurata presso una compagnia di assicurazioni ugualmente stabilita in tale Stato membro, in relazione al quale era applicabile, conformemente all'art. 4, par. 1, del medesimo regolamento Roma II, la legge tedesca, in quanto legge del paese nel quale si è verificato il danno iniziale, secondo l'interpretazione accolta dalla Corte di giustizia nella propria precedente sentenza relativa al caso Lazar (v. in questa stessa cartella). Si vedano i paragrafi 26 ss. della motivazione.

    • Corte di giustizia UE, sentenza 21 gennaio 2016, cause riunite C-359/14 e C-475/14, ERGO Insurance e Gjensidige Baltic

      Nella sentenza, la Corte di giustizia si pronuncia sulla rispettiva delimitazione dell'ambito di applicazione materiale del regolamento (CE) n. 593/2008 (c.d. Roma I) sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali e del regolamento (CE) n. 864/2007 (c.d. Roma II) sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali, chiarendo che, coerentemente all'interpretazione accolta relativamente al coordinamento tra le disposizioni del regolamento, ora, 1215/2012 (Bruxelles I-bis) concernenti la competenza giurisdizionale in materia, rispettivamente, di obbligazioni contrattuali (art. 7, n. 1) e di responsabilità da fatto illecito (art. 7, n. 2), dovrà ritenersi ricadere nell'ambito di applicazione del regolamento Roma II in materia di obbligazioni extracontrattuali ogni azione volta fa valere la responsabilità di un soggetto su una base non riconducibile all'esistenza di un vincolo di carattere contrattuale. Nella specie, con riferimento a un'azione di regresso dell'assicuratore di un veicolo che abbia risarcito il danno causato in parte dal veicolo assicurato e in parte dal rimorchio trainato dal veicolo stesso, assicurato da un diverso assicuratore, detta azione di regresso sarà retta, quanto all'individuazione della legge applicabile, dal regolamento Roma II, non essendovi un rapporto di carattere contrattuale tra l'assicuratore del veicolo trainante e l'assicuratore del rimorchio, mentre la legge regolatrice dei rapporti tra ciascun assicuratore e il rispettivo assicurato (vale a dire, tra l'assicuratore del veicolo trainante e il proprietario o il noleggiatore di questo, e tra l'assicuratore del rimorchio e il proprietario o il noleggiatore di quest'ultimo) dovrà individuarsi in base al regolamento Roma I, presentando i rapporti tra assicuratore e assicurato carattere contrattuale (v. i par. 36 ss. della motivazione, specialmente i par. 43-45 e 47-53).

    • Corte di giustizia UE, sentenza 10 dicembre 2015, in causa C-350/14, Lazar

      Nella sentenza, la Corte di giustizia si sofferma sull'interpretazione delle espressioni "danno" e "conseguenze indirette di tale fatto", utilizzate dall'art. 4, par. 1, del regolamento Roma II al fine dell'individuazione della legge applicabile all'obbligazione extracontrattuale da fatto illecito. In un caso in cui i parenti residenti in Romania della vittima di un incidente stradale verificatosi in Italia richiedevano all'assicuratore italiano il risarcimento dei danni morali da loro sofferti in conseguenza del fatto, la Corte di giustizia ha ritenuto che per paese nel quale il danno si è verificato ai sensi della regola generale di cui all'art. 4, par. 1, del regolamento Roma II, deve intendersi il paese nel quale si è verificato il danno iniziale, rappresentato, nel caso in cui una persona sia rimasta uccisa in un incidente stradale, dall'uccisione stessa, mentre il paese ovvero i paesi nel quale o nei quali i parenti della vittima reclamino danni morali come conseguenza del fatto devono configurarsi alla stregua di paesi nei quali si sono verificate le conseguenze indirette del fatto. Conseguentemente, in un caso come quello di specie la legge regolatrice della responsabilità extracontrattuale da fatto illecito, sulla base delle cui disposizioni si dovranno anche individuare i soggetti che possano vantare pretese risarcitorie al riguardo, sarà la legge del paese nel quale l'incidente si è verificato, a prescindere dalla residenza abituale ovvero dal domicilio dei parenti della vittima che intendano avanzare pretese al riguardo (si vedano i par. 20 ss. della motivazione).

  •  La legge applicabile alle obbligazioni contrattuali in base al regolamento (CE) n. 593/2008 (c.d. "Roma I")

    In questa cartella si raccolgono alcune pronunce particolarmente significative della Corte di giustizia dell'Unione europea relative all'interpretazione della disciplina della legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, contenuta nel regolamento (CE) n. 593/2008 (c.d. Roma I: v. il testo nella cartella "testi normativi di riferimento generale"), ovvero, precedentemente, nella Convenzione di Roma del 1980 avente il medesimo oggetto, poi sostituita dal regolamento. Si vedano anche le Note introduttive, dovute a F. Salerno (parte I) e al docente stesso (parte II), al commentario al regolamento Roma I pubblicato nella rivista Le nuove leggi civili commentate, 2009, i cui estratti sono disponibili, per solo uso personale degli studenti frequentanti, nella sezione File dell'aula Teams del corso.

    • Regolamento (CE) n. 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (c.d. "Roma I")

      Il regolamento ha preso il posto della Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, conclusa tra gli Stati membri della allora Comunità europea anteriormente all'introduzione della competenza legislativa comunitaria in materia.

    • Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali

      La Convenzione di Roma del 1980, nel frattempo sostanzialmente sostituita dal regolamento (CE) n. 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (c.d. Roma I, v. nella cartella "testi normativi di riferimento generale"), era stata conclusa tra gli Stati membri della allora Comunità economica europea per introdurre regole comuni sulla legge applicabile ai contratti, allo scopo di ridurre l'incentivo al "forum shopping" insito nell'esistenza, in base alla Convenzione di Bruxelles del 1968 sulla competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (nel frattempo sostanzialmente sostituita a sua volta dai regolamenti prima Bruxelles I (n. 44/2001) e poi Bruxelles I-bis (n. 1215/2012, v. nella cartella "testi normativi di riferimento generale")), di fori alternativi nelle controversie in materia contrattuale, fenomeno che trovava inevitabilmente alimento nella presenza di regole diverse tra gli Stati membri in materia di legge applicabile ai contratti. Tra i profili di più sensibile differenziazione rispetto alla disciplina attualmente contenuta nel regolamento Roma I, v. in particolare l'art. 4 della Convenzione, sulla legge applicabile ai contratti in mancanza di scelta delle parti, regola sensibilmente riformulata nell'attuale art. 4 del regolamento Roma I.

    • Relazione Giuliano-Lagarde sulla Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali

      La relazione, dovuta ai Professori Mario Giuliano, dell'Università statale di Milano, e Paul Lagarde, dell'Université Paris I, illustra le problematiche relative alla determinazione della legge applicabile ai contratti e il modo nel quale esse sono state affrontate nella Convenzione di Roma del 1980 (v. il testo supra, in questa stessa cartella). Per quanto la Convenzione di Roma sia stata ormai superata dal regolamento (CE) n. 593/2008 (c.d. Roma I, v. nella cartella "Testi normativi di riferimento generale"), conservando rispetto al regolamento solamente un ambito di applicazione residuale (si applica essenzialmente in Danimarca, paese membro non soggetto al regolamento Roma I), la relazione Giuliano-Lagarde conserva ancora un valore di riferimento con riguardo alle questioni che si pongono relativamente al diritto internazionale privato dei contratti.

    • Corte di giustizia delle Comunità europee, sentenza 17 giugno 1992, in causa C-26/91, Handte c. TMCS

      La sentenza, relativa all'interpretazione dell'art. 5, par. 1, della Convenzione di Bruxelles del 1968 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (v. ora l'art. 7, n. 1, del regolamento (UE) n. 1215/2012, c.d. Bruxelles I-bis, nella cartella "Testi normativi di riferimento generale), si pronuncia sulla portata della nozione di "materia contrattuale", per i fini dell'applicazione del criterio speciale di competenza giurisdizionale in questione. L'interpretazione accolta dalla Corte di giustizia in questa sentenza, per la quale "la nozione di « materia contrattuale », ai sensi dell'art. 5, punto 1, della convenzione (di Bruxelles), non può ricomprendere le fattispecie in cui non esista alcun obbligo liberamente assunto da una parte nei confronti di un'altra" (v. par. 15 della motivazione) è considerata di riferimento anche al fine della determinazione della portata della nozione di obbligazioni contrattuali ai fini dapprima della Convenzione di Roma del 1980 e ora del regolamento (CE) n. 593/2008 (c.d. Roma I) sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, considerato l'obiettivo di assicurare coerenza tra i diversi strumenti adottati dall'Unione europea in materia di diritto internazionale privato (v. il considerando n. 7 del preambolo del regolamento Roma I, nella cartella "Testi normativi di riferimento generale).

    • Corte di giustizia delle Comunità europee, sentenza 17 settembre 2002, in causa C-334/00, Tacconi c. HWS

      La sentenza, relativa all'interpretazione dell'art. 5, nn. 1 e 3 della Convenzione di Bruxelles del 1968 sulla competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (v. ora l'art. 7, nn. 1 e 2, del regolamento (UE) n. 1215/2012, c.d. Bruxelles I-bis, nella cartella "Testi normativi di riferimento generale") ha ad oggetto la qualificazione giuridica della responsabilità precontrattuale, che scaturisce dalla rottura delle trattative volte alla conclusione di un contratto, per i fini dell'interpretazione autonoma ed uniforme delle norme in questione che stabiliscono criteri speciali di competenza giurisdizionale con riferimento, rispettivamente, alle obbligazioni contrattuali e alle obbligazioni extracontrattuali da fatto illecito. La Corte di giustizia, discutibilmente, ha adottato una qualificazione di carattere extracontrattuale delle obbligazioni in questione (v. par. 19 ss. della motivazione della sentenza), considerando quindi applicabile in materia la norma dell'art. 5, n. 3 della Convenzione di Bruxelles (ora art. 7, n. 2, del regolamento n. 1215/2012, c.d. Bruxelles I-bis), la quale, sempre nell'ottica di una coerenza tra i diversi strumenti adottati dall'Unione europea nell'ambito del diritto internazionale privato, ha avuto per ripercussione l'esclusione della responsabilità precontrattuale dall'ambito di applicazione materiale del regolamento (CE) n. 593/2008, c.d. Roma I, sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (art. 1, par. 1, lett. i), di quest'ultimo regolamento, v. nella cartella "Testi normativi di riferimento generale") e la corrispondente ricomprensione della materia stessa nell'ambito di applicazione materiale del parallelo regolamento (CE) n. 864/2007, c.d. Roma II, sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (che dedica alla materia della responsabilità precontrattuale l'apposita regola dell'art. 12, v. il testo nella medesima cartella dei testi normativi di riferimento generale).

    • Corte di giustizia UE, sentenza 17 ottobre 2013, in causa C-184/12, Unamar

      La sentenza sottolinea la centralità della scelta delle parti come criterio di individuazione della legge applicabile ai sensi, al tempo, della Convenzione di Roma del 1980 e, ora, del regolamento n. 593/2008 ("Roma I"), evidenziando l'esigenza di limitare per quanto possibile l'incidenza di disposizioni limitative della libertà di scelta, sia in termini di disposizioni imperative della legge del paese col quale il contratto, salva la scelta di legge, sia esclusivamente collegato (art. 3, par. 3), sia in termini di norme di applicazione necessaria del foro (art. 7, par. 2 della Convenzione di Roma, ora art. 9, par. 2, regolamento Roma I). (si vedano i paragrafi 29 ss. della motivazione)

    • Corte di giustizia CE, sentenza 6 ottobre 2009, in causa C-133/08, Intercontainer Interfrigo (ICF)

      La sentenza si sofferma sule regole concernenti l'individuazione della legge applicabile a un contratto in mancanza di scelta delle parti, ai sensi dell'art. 4 della Convenzione di Roma del 1980 (ora, con diverse modifiche, art. 4 del regolamento n. 593/2008, c.d. Roma I). Al riguardo, dapprima la sentenza si sofferma sulla portata della regola specifica per i contratti di trasporto, contenuta, al tempo, nell'art. 4, par. 4, della Convenzione di Roma (par. 31 ss. della motivazione), e successivamente sulla questione, di portata più generale, della separabilità del contratto (c.d. depeçage) ad opera del giudice, vale a dire dell'applicazione, ad opera del giudice e quindi in assenza di una scelta ad opera della parti, dell'assoggettamento da parte del giudice stesso di determinate clausole del contratto, relative ad una questione specifica e separabile dal resto del contratto stesso, ad una diversa legge regolatrice (par. 41 ss. della motivazione).

    • Cour de cassation (Francia), Chambre des requetes, 16 gennaio 1861, Lizardi

      Questa nota sentenza della Cour de cassation francese ha affermato la regola ora recepita nell'art. 13 del regolamento Roma I sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, per la quale in un contratto concluso tra persone che si trovano in un medesimo paese un cittadino straniero non può invocare l'incapacità di concludere il contratto derivante dalla propria legge nazionale, salvo la controparte fosse a conoscenza di tale incapacità o la abbia ignorata per sua colpa.

  •  Le questioni generali del diritto internazionale privato

    Questa cartella raccoglie alcuni materiali giurisprudenziali concernenti le c.d. questioni generali del diritto internazionale privato, espressione con la quale si intendono quei profili generali della disciplina della legge applicabile che si pongono con riferimento alla generalità delle regole in materia. Tali questioni sono regolate, per quanto riguarda il sistema italiano di diritto internazionale privato, negli articoli da 13 a 19 della legge 31 maggio 1995, n. 218, Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato (v. nella cartella Testi normativi di riferimento generale). Deve tenersi presente che i regolamenti dell'Unione europea, come i regolamenti Roma I, Roma II e Roma III (anch'essi nella cartella Testi normativi di riferimento generale) così come le convenzioni internazionali in materia di diritto internazionale privato hanno una loro propria disciplina di tali questioni, che ovviamente dovrà essere seguita nell'applicazione di tali strumenti in luogo di quella prevista dalla legge statale, e ciò, per esigenze di uniformità di disciplina, anche nei casi in cui la disciplina convenzionale, ovvero contenuta in un regolamento dell'Unione europea, sia applicata anche al di fuori del suo ambito di applicazione in virtù di un rinvio operato dalle norme contenute nella stessa legge n. 218/1995 (articoli 42, 45, 57, 59: v. al riguardo lo scritto del docente sul rinvio della legge italiana di riforma del diritto internazionale privato alle convenzioni internazionali, alla luce dei mutamenti normativi nel frattempo sopravvenuti, disponibile nella sezione "File" dell'aula Teams del corso).

    • Corte di giustizia UE, sentenza 25 novembre 2021, in causa C-289/20, IB c. FA - interpretazione del criterio di collegamento della residenza abituale

      Nella sentenza, riferita alla determinazione della residenza abituale del coniuge attore ai fini della disciplina della competenza giurisdizionale in materia matrimoniale contenuta nel regolamento CE n. 2201/2003 o Bruxelles II-bis (nel frattempo sostituito dal successivo regolamento UE 2019/1111 o Bruxelles II-ter), la Corte di giustizia, dopo aver chiarito che tale criterio deve essere interpretato in maniera autonoma tenendo conto del contesto e delle finalità dell'atto legislativo nel quale è contemplato, ha chiarito che le finalità di certezza del diritto e di prevedibilità della competenza giurisdizionale, come pure della legge applicabile nei regolamenti che lo utilizzano a tal fine, impongono che una persona debba essere considerata avere la propria residenza abituale in un solo Stato membro in un determinato momento. La Corte ha anche riepilogato i diversi fattori dei quali il giudice deve tenere conto nel procedere alla determinazione della residenza abituale, come atti ad evidenziare la fissazione di una residenza di carattere stabile , atta ad evidenziare un animus manendi nel territorio dello stato in questione, richiamando al riguardo quanto già osservato in una precedente sentenza in relazione alla determinazione della residenza abituale di un minore (v. i paragrafi 30-37, quanto all'unicità della residenza abituale, e 52-62, quanto agli elementi dei quali tenere conto ai fini della sua determinazione).

    • Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 5 febbraio 2021, n. 2867 (a proposito del rinvio e della qualificazione)

      La sentenza evidenzia l'importanza del meccanismo del rinvio, disciplinato nell'art. 13 della legge 31 maggio 1995, n. 218 (v. nella cartella Testi normativi di riferimento generale), come strumento di coordinamento tra diversi sistemi statali di diritto internazionale privato, con particolare riferimento alla materia delle successioni, nella quale si assiste a una contrapposizione tra sistemi come quello italiano, basato sull'unitarietà della successione, per cui la legge applicabile a quest'ultima si applicherà con riferimento a tutti i beni del defunto, siano essi mobili o immobili, e sistemi come quello inglese, basati sulla scissione della successione, per cui la legge personale del defunto (sia essa la legge nazionale, ovvero del domicile nel senso in cui tale espressione si intende nel paese in questione) regola la successione nei beni mobili del defunto, mentre la successione nei beni immobili sarà retta dalla legge del paese o dei paesi in cui questi sono situati (lex rei sitae). Nel caso oggetto della sentenza qui riportata, non ricadente per motivi temporali nell'ambito di applicazione del regolamento (UE) n. 650/2012 in materia di successioni, le norme di diritto internazionale privato della legge inglese, applicabile alla successione in quanto legge nazionale del defunto ai sensi dell'art. 46, comma 1, della legge n. 218/1995, mentre dichiarano applicabile lo stesso diritto inglese alla successione nei beni mobili del defunto, rinviano indietro alla legge italiana per quanto attiene alla disciplina della successione nei beni immobili situati in Italia, così come previsto dall'art. 13, comma 1, lettera b) della legge n. 218/1995. Il problema di fondo nel caso oggetto della sentenza consisteva nel valutare se una norma contenuta nel Wills Act 1837 (la legge inglese in materia di testamenti) che prevedeva la revoca automatica del testamento in caso di successivo matrimonio del testatore, dovesse trovare applicazione con riferimento all'intera successione, ovvero se questa dovesse trovare applicazione unicamente con riguardo alla successione nei beni mobili, retta del diritto inglese, mentre non avrebbe potuto applicarsi con riguardo alla successione nei beni immobili, in quanto retta dal diritto italiano. La Corte di cassazione si è pronunciata in quest'ultimo senso, dopo aver risolto incidentalmente altre questioni di non minore portata, attinenti rispettivamente alla qualificazione dell'istituto della revoca del testamento per successivo matrimonio come istituto attinente al diritto delle successioni e non già, secondo quanto invece previsto dal diritto inglese, come ricadente nella disciplina dei rapporti patrimoniali tra coniugi, e alla configurabilità, che la Cassazione ha escluso, di una scelta del defunto a favore della propria legge nazionale come regolatrice dell'intera successione, implicita nella scelta di recarsi in Inghilterra per fare testamento. Invero, l'art. 46, comma 2, della legge n. 218/1995, ammette tale scelta da parte del defunto solamente a favore della legge del paese di residenza e, per di più, prescrive che la scelta debba avvenire a mezzo di dichiarazione espressa in forma testamentaria, con ciò non ammettendo l'ipotesi, che invece il regolamento n. 650/2012 in materia di successioni all'art. 22 ammette, di una scelta tacita, la quale deve pur sempre basarsi su indicazioni desumibili dal contenuto della disposizione testamentaria, e non già sul solo fatto dell'essersi il testatore recato in determinato paese per redigere il testamento (si vedano in particolare i paragrafi 6.1 e seguenti della motivazione, spec. par. 10 ss., e i principi di diritto enunicati al par. 16, terzo e quarto capoverso).

    • F. Marongiu Buonaiuti, The Law Applicable to Succession, Between Unity and Splitting of the Relevant Legal Regime: The Role of Renvoi

      Link a un articolo del docente, pubblicato in open access sulla rivista online Italian Review of International and Comparative Law, di commento alla sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite civili, 5 febbraio 2021, n. 2867, a proposito del rinvio e della qualificazione in materia di successioni (v. supra in questa stessa cartella)

    • High Court of Justice, sentenza del 15 luglio 2021, Pescatore v. Valentino

      Sentenza della Hight Court of Justice inglese, relativa a un caso di diritto internazionale privato delle successioni che pone, similmente al caso oggetto della pronuncia della Corte di cassazione, sezioni unite civili, del 5 febbraio 2021, n. 2867 (supra in questa stessa cartella) il problema del rinvio, a causa della diversità del sistema europeo incentrato sul regolamento (UE) n. 650/2012 sul diritto internazionale privato delle successioni, basato sul principio dell'unitarietà della successione, e del sistema inglese, basato sulla scissione tra regime della successione nei beni mobili, retta dalla legge personale del de cuius, e regime della successione negli immobili, retta dalla lex rei sitae (legge del luogo di situazione).

    • F. Marongiu Buonaiuti, Il diritto internazionale privato delle successioni in casi collegati al Regno Unito: riflessioni sulla sentenza Pescatore

      Testo in versione pre-print di uno scritto del docente, successivamente pubblicato, con adattamenti, nella rivista Trusts e attività fiduciarie (2022, luglio-agosto - Diritto vivente - discussione - p. 696 ss.), di commento alla sentenza della High Court of Justice del 15 luglio 2021 relativa al caso Pescatore c. Valentino in materia di diritto internazionale privato delle successioni (v. supra in questa stessa cartella).

    • Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 26 febbraio 2002, n. 2791 (con riguardo all'accertamento e all'interpretazione del diritto straniero richiamato)

      La sentenza si sofferma sull'applicazione concreta delle regole contenute negli articoli 14 e 15 della legge 31 maggio 1995, di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato (v. nella cartella Testi normativi d riferimento generale) concernenti l'accertamento e l'interpretazione del diritto straniero richiamato. Nella sentenza, la Corte di cassazione, nel ribadire i principi chiaramente enunciati dalle due disposizioni, per i quali l'accertamento del diritto straniero richiamato dalle norme di diritto internazionale privato italiane rientra pienamente nei doveri del giudice in base al principio iura novit curia, e nell'interpretazione di tale diritto si dovranno seguire i criteri propri del diritto straniero così come desumibili dal relativo ordinamento, sembra però accogliere una visione riduttiva, in particolare, di quest'ultimo principio, affermando che al fine indicato il giudice potrà accontentarsi di seguire le disposizioni generali sull'applicazione e l'interpretazione della legge proprie del diritto richiamato, senza dover procedere a una più approfondita indagine in ordine agli orientamenti interpretativi prevalenti nella giurisprudenza dell'ordinamento in questione. Si vedano le considerazioni critiche svolte dal docente con riferimento alla sentenza qui riportata, nell'articolo intitolato "Un ritorno al 'diritto internazionale privato facoltativo' in una recente sentenza della Corte di cassazione?", caricato nella sezione File dell'aula Teams del corso.

    • F. Marongiu Buonaiuti, Un ritorno al "diritto internazionale privato facoltativo" nella giurisprudenza della Corte di cassazione?

      Commento alla sentenza della Corte di cassazione 26 febbraio 2002, n. 2791, relativa all'accertamento e all'interpretazione del diritto straniero richiamato, in base agli articoli 14 e 15 della legge 31 maggio 1995, n. 218, di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato.

    • Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 8 maggio 2019, n. 12193 (sull'ordine pubblico, con riferimento al riconoscimento di un rapporto di filiazione costituito a seguito del ricorso alla maternità surrogata))

      La sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione si è pronunciata sulla controversa questione della compatibilità con l'ordine pubblico del riconoscimento di una sentenza emessa in Canada, nella quale un minore nato a seguito di un'operazione di maternità surrogata era stato dichiarato figlio di due padri, nella specie il padre biologico e il partner dello stesso sesso del padre stesso. La sentenza, discostandosi da una precedente sentenza della prima sezione civile della stessa Corte di cassazione, n. 19599 del 2016, relativa alla situazione nella quale il minore viene dichiarato figlio di due madri, l'una che ha donato il materiale genetico e l'altra che ha portato avanti la gravidanza, afferma l'incompatibilità con l'ordine pubblico del riconoscimento di una sentenza di questo genere. La Cassazione al riguardo accoglie una visione più tradizionale di ordine pubblico per i fini del diritto internazionale privato, in quanto risultante non soltanto dai principi internazionalmente condividi in materia di tutela dei diritti fondamentali della persona umana (che integrano una nozione di ordine pubblico "veramente internazionale"), bensì anche dai principi fondamentali che ispirano il modo di essere del singolo ordinamento giuridico statale in quel determinato momento storico, con i quali il riconoscimento di una sentenza di questo genere andrebbe inevitabilmente a collidere, considerato il carattere imperativo del divieto del ricorso alla fecondazione eterologa per fini diversi da quelli strettamente terapeutici previsto dalla l. n. 40/2004, divieto assortito di sanzioni penali per il caso di violazione. Si vedano i punti 12 ss. della motivazione, a p. 24 ss. del file allegato, in particolare il punto 12.3 della motivazione, nel quale le Sezioni unite hanno enunciato il seguente principio di diritto: «In tema di riconoscimento dell'efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero, la compatibilità con l'ordine pubblico, richiesta dagli artt. 64 e ss. della legge n. 218 del 1995, dev'essere valutata alla stregua non solo dei principi fondamentali della nostra Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui gli stessi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti, nonché dell'interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale ed ordinaria, la cui opera di sintesi e ricomposizione dà forma a quel diritto vivente dal quale non può prescindersi nella ricostruzione delle nozione di ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell'ordinamento in un determinato momento storico». Si veda in proposito l'articolo del docente "Recognition in Italy of Filiation Established Abroad by Surrogate Motherhood, between Transnational Continuity of Personal Status and Public Policy", di cui al link infra.

    • Corte di cassazione, sez. un. civ., sent. 30 dicembre 2022, n. 38162 (sull'ordine pubblico, in relazione alla filiazione costituita all'estero tramite maternità surrogata)

      In quest'ultima sentenza le Sezioni unite civili della Cassazione confermano la conclusione già raggiunta nella precedente pronuncia n. 12193 del 2019 tenendo conto anche delle due pronunce della Corte costituzionale n. 32 e 33 del 2021, nel senso che il riconoscimento di un rapporto di filiazione costituito all'estero a favore di una coppia di uomini a seguito del ricorso ad un'operazione di maternità surrogata è incompatibile con l'ordine pubblico italiano, in considerazione del particolare disvalore che la legislazione italiana in materia di procreazione medicalmente assistita attribuisce a tale pratica, la quale, ove posta in essere in Italia, è penalmente sanzionata.

    • F. Marongiu Buonaiuti, Recognition in Italy of Filiation Established Abroad by Surrogate Motherhood, between Transnational Continuity of Personal Status and Public Policy

      Link a uno scritto del docente, pubblicato in open access sulla rivista online Cuadernos de derecho transnacional (2019, n. 2), di commento alla sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite civili, n. 12193/2019, di cui sopra. Si veda anche, infra, un successivo scritto dal titolo "The evolution of the position of Italian Case law concerning public policy in transnational family matters, in view of some recent judgments of the Italian Court of Cassation and Constitutional Court", pubblicato in open access sulla medesima rivista online (2022, n. 1), nel quale il docente prosegue le sue riflessioni in argomento, alla luce di alcune pronunce successive, della Corre di cassazione e della Corte costituzionale, ugualmente relative alla problematica dell'ordine pubblico come limite al riconoscimento di situazioni giuridiche di carattere personale e familiare costituite all'estero.

    • Proposta di regolamento europeo in materia di filiazione

      Proposta di Regolamento del Consiglio relativo alla competenza, alla legge applicabile e al riconoscimento delle decisioni e all'accettazione degli atti pubblici in materia di filiazione e alla creazione di un certificato europeo di filiazione, doc. COM (2022) 695 final, del 7 dicembre 2022. V. in particolare l'art. 22, con riferimento all'ordine pubblico.

    • Focus: La proposta di regolamento europeo in materia di filiazione (COM(2022) 695 final, del 7 dicembre 2022)

      Il Focus, pubblicato nella rivista on-line in open access "Freedom, Security and Justice: European Legal Studies" (2024, n. 2), contiene saggi e contributi elaborati a seguito della riflessione realizzata nel Convegno organizzato dal Centro di documentazione europea presso l'Università di Macerata (22 novembre 2023)

    • Corte di cassazione, sez. I civ., sentenza 7 agosto 2020, n. 16804 (sull'ordine pubblico, relativamente al riconoscimento di un ripudio unilaterale)

      La pronuncia della Cassazione afferma l'incompatibilità del riconoscimento di un ripudio unilaterale di diritto islamico con l'ordine pubblico italiano, accogliendo la visione tradizionale dell'ordine pubblico per i fini del diritto internazionale privato, per il quale nel valutarne il contenuto si devono tenere in considerazione non soltanto principi internazionalmente condivisi sulla tutela dei diritti fondamentali della persona umana (come quelli che riguardano la parità dei diritti tra i coniugi e il rispetto del principio del contraddittorio nei procedimenti giurisdizionali), bensì anche i principi ispiratori del modo di essere dell'ordinamento giuridico del foro in un determinato momento storico (con particolare riguardo al principio ispiratore della disciplina italiana in materia di scioglimento del matrimonio, per il quale lo scioglimento presuppone l'accertamento del definitivo disfacimento del disegno di vita comune dei coniugi).

    • Corte di cassazione, sez. I civ., ord. 14 agosto 2020, n. 17170 (sull'ordine pubblico, relativamente al riconoscimento di un ripudio unilaterale)

      L'ordinanza, come la sentenza del 7 agosto 2020 n. 16804 di cui sopra, afferma l'incompatibilità del riconoscimento di un ripudio unilaterale di diritto islamico con l'ordine pubblico italiano, apparendo però, benché nel contesto di una motivazione più concisa e meno articolata, discostarsi leggermente dall'iter argomentativo seguito nell'altra pronuncia appena richiamata, nel senso di incentrare prevalentemente l'indagine in termini di compatibilità con l'ordine pubblico su profili attinenti al rispetto dei principi internazionalmente condivisi in materia di diritti fondamentali della persona umana, riservando uno spazio minore all'incidenza dei principi caratterizzanti il modo di essere dell'ordinamento giuridico dello Stato del foro in quel dato momento storico.

    • Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 31 marzo 2021, n. 9006 (sull'ordine pubblico, con riferimento al riconoscimento di un'adozione piena a favore di una coppia di persone dello stesso sesso))

      Nella sentenza, le Sezioni Unite civili della Corte di cassazione confermano la lettura del limite dell'ordine pubblico accolta nella precedente sentenza del 2019, n. 12193 (v. supra, in questa stessa cartella), nel senso che nel determinare il contenuto del limite stesso non ci si può limitare a prendere in considerazione le sole norme che vincolano il legislatore nazionale, come le norme internazionali e dell'Unione europea, segnatamente in materia di tutela dei diritti fondamentali della persona umana, ovvero le norme costituzionali, dovendosi ammettere che possano contribuire a determinare concretamente il contenuto dell'ordine pubblico come limite all'apertura dell'ordinamento giuridico del foro al coordinamento con gli ordinamenti giuridici stranieri anche le norme di legge ordinaria, quando abbiano per effetto di individuare il contenuto concreto dei principi desumibili dalla Costituzione nella disciplina dei singoli istituti. Al tempo stesso, le Sezioni unite si discostano dall'esito raggiunto nella precedente sentenza del 2019 appena richiamata, osservando che, con riferimento al riconoscimento in Italia di un provvedimento di adozione piena a favore di una coppia di persone dello stesso sesso, incompatibile con i presupposti che l'art. 6 della legge n. 183/1984 (la legge italiana sull'adozione) prevedono a tal fine, non è configurabile un contrasto con l'ordine pubblico italiano negli stessi termini riscontrati nella sentenza del 2019 con riguardo al divieto, penalmente sanzionato ai sensi della legge n. 40/2004 in materia di procreazione medicalmente assistita, di ricorso a pratiche di maternità surrogata, le quali sollevano problematiche sensibili di tutela della dignità della donna, nonché di tutela del diritto del nato a conoscere la propria identità genetica. Si vedano i punti 11-12 della motivazione, a p. 10 ss., e i punti 15 ss., a p. 13 ss. del file allegato.

    • F. Marongiu Buonaiuti, The evolution of the position of Italian Case law concerning public policy in transnational family matters, in view of some recent judgments of the Italian Court of Cassation and Constitutional Court

      Link a un articolo del docente, pubblicato in open access sulla rivista on-line Cuadernos de derecho transnacional (n. 1/2022), sull'evoluzione della posizione della giurisprudenza italiana in tema di ordine pubblico nel diritto internazionale privato della famiglia, con particolare riguardo al riconoscimento di decisioni che accertino l'esistenza di un rapporto di filiazione derivante dal ricorso alla maternità surrogata (Cass., sez. un. civ., sent. 12193/2019, v. supra, in questa cartella), ovvero che dispongano l'adozione piena a favore di una coppia di persone dello stesso sesso (Cass., sez. un. civ., sent. 9006/2021, v. supra, in questa cartella), ovvero di omologa di ripudi unilaterali in base alle leggi di paesi di diritto islamico.

    • Corte di giustizia CE, sentenza 28 marzo 2000, in causa C-7/98, Krombach c. Bamberski (sull'ordine pubblico nel contesto dello spazio giudiziario europeo)

      La sentenza della Corte di giustizia si pronuncia sulla portata del limite dell'ordine pubblico, come motivo di rifiuto del riconoscimento di una sentenza emessa in un altro Stato membro ai sensi, al tempo, dell'art. 27, n. 1, della Convenzione di Bruxelles del 1968 (v. ora l'art. 45, par. 1, lettera a) del regolamento UE n. 1215/2012, c.d. Bruxelles I-bis), affermando che tale motivo di rifiuto del riconoscimento di una sentenza straniera possa invocarsi solamente in casi di manifesta incompatibilità della decisione con un principio fondamentale dell'ordinamento dello Stato membro richiesto del riconoscimento, come il principio per il quale deve essere garantito il rispetto del diritto alla difesa, e che, in particolare, questioni attinenti alla competenza giurisdizionale del giudice che ha emesso la sentenza da riconoscere non possano rilevare al fin della valutazione della contrarietà della decisione del cui riconoscimento si tratta all'ordine pubblico. Si vedano in particolare i par. 35 ss. della motivazione.

    • Corte di giustizia delle Comunità europee, sentenza 23 novembre 1999, cause riunite C-369/96 e C-376/96, Arblade e Leloup (a proposito delle norme di applicazione necessaria)

      La sentenza della Corte di giustizia si sofferma, incidentalmente, sulle norme di applicazione necessaria, ovvero "leggi di polizia o sicurezza", traduzione letterale dell'espressione francese "lois de police et de surété" che identifica tale categoria di norme , delle quali dà una definizione, contenuta al par. 30 della motivazione, dove si legge: "Quanto alla seconda questione sollevata in ciascuno dei due procedimenti, vertente sulla qualificazione, in diritto belga, delle disposizioni controverse come leggi di polizia e di sicurezza, occorre intendere tale espressione come riferita alle norme nazionali la cui osservanza è stata reputata cruciale per la salvaguardia dell'organizzazione politica, sociale o economica dello Stato membro interessato, al punto da imporne il rispetto a chiunque si trovi nel territorio nazionale di tale Stato membro o a qualunque rapporto giuridico localizzato nel suo territorio." La definizione della categoria di norme in questione, riferita nel caso di specie alle norme belghe che disciplinavano la sicurezza dei lavoratori impiegati in cantieri operanti in Belgio ed applicabili anche nei confronti di imprese prestatrici di servizi che fossero stabilite in un altro Stato membro, appare in realtà mutuata dalla definizione che ne era stata data dalla dottrina internazionalprivatistica francese negli anni '60 dell'ultimo secolo, segnatamente dallo studioso francese di origine greca Phocion Francescakis (specialmente nello scritto "Quelques précisions sur les "lois d'application immédiate" et leurs rapports avec les règles de conflits de loi", apparso in Revue critique de droit international privé, 1966, pp. 1-18). La medesima definizione appare poi transitata nell'art. 9, par. 1, del regolamento (CE) n. 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (c.d. "Roma I", v. il testo nella cartella "testi normativi di riferimento generale"), ai sensi del quale: "Le norme di applicazione necessaria sono disposizioni il cui rispetto è ritenuto cruciale da un paese per la salvaguardia dei suoi interessi pubblici, quali la sua organizzazione politica, sociale o economica, al punto da esigerne l’applicazione a tutte le situazioni che rientrino nel loro campo d’applicazione, qualunque sia la legge applicabile al contratto secondo il presente regolamento".

    • Corte di giustizia UE, sentenza 18 ottobre 2016, in causa C-135/15, Nikiforidis (a proposito delle norme di applicazione necessaria straniere)

      Nella sentenza, la Corte di giustizia si sofferma sull'art. 9 del regolamento (CE) n. 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (c.d. Roma I), dedicato alle norme di applicazione necessaria), sottolineando l'esigenza di interpretare restrittivamente la categoria di norme in questione, in considerazione dell'effetto derogatorio che da esse deriva rispetto al normale operare delle norme di diritto internazionale privato contenute nel regolamento stesso. In particolare, la Corte ha chiarito che la norma non possa essere invocata al fine di attribuire rilievo a norme di applicazione necessaria che non appartengano né all'ordinamento giuridico del foro, né all'ordinamento nel quale il contratto in questione debba avere esecuzione, conformemente alla regola di cui all'art. 9, par. 3, del regolamento stesso, che fa riferimento all'applicazione di norme di applicazione necessaria straniere, non appartenenti né all'ordinamento giuridico del foro, né a quello la cui legge è applicabile al contratto (v. i par. 44 ss. della motivazione).

    • Corte di giustizia delle Comunità europee, sentenza 9 novembre 2000, in causa C-381/98, Ingmar GB Ltd c. Eaton Leonard Technologies Inc.

      La sentenza della Corte di giustizia afferma il carattere internazionalmente imperativo, nei confronti delle leggi degli Stati terzi, delle disposizioni contenute nelle direttive europee di armonizzazione volte a garantire una protezione minima alle parti deboli di determinati rapporti, con specifico riferimento alla direttiva 86/653/CEE sul coordinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti il trattamento degli agenti commerciali indipendenti. In concreto, la Corte ha affermato che nella misura in cui l'attività dell'agente commerciale indipendente si sia svolta all'interno di uno Stato membro (nel caso di specie, il Regno Unito, al tempo paese membro) la scelta ad opera delle parti della legge di un paese terzo (nella specie, lo Stato della California, nel quale aveva sede la società preponente) non potrà pregiudicare l'applicazione delle disposizioni imperative contenute nella direttiva, ovvero nella legislazione nazionale adottata dallo Stato membro interessato in attuazione delle disposizioni contenute nella direttiva stessa (si vedano in particolare i paragrafi 20 s. della motivazione).

    • Corte di giustizia UE, sentenza 17 ottobre 2013, in causa C-184/12, Unamar

      La sentenza sottolinea la centralità della scelta delle parti come criterio di individuazione della legge applicabile ai sensi, al tempo, della Convenzione di Roma del 1980 e, ora, del regolamento n. 593/2008 ("Roma I"), evidenziando l'esigenza di limitare per quanto possibile l'incidenza di disposizioni limitative della libertà di scelta, sia in termini di disposizioni imperative della legge del paese col quale il contratto, salva la scelta di legge, sia esclusivamente collegato (art. 3, par. 3), sia in termini di norme di applicazione necessaria del foro (art. 7, par. 2 della Convenzione di Roma, ora art. 9, par. 2, regolamento Roma I). (si vedano i paragrafi 29 ss. della motivazione)

    • Il diritto nella pandemia. Temi, problemi, domande, a cura di E. Calzolaio, M. Meccarelli, S. Pollastrelli, EUM - Edizioni Università di Macerata, 2020

      Link alla pagina web relativa a un volume pubblicato come e-book in open access sul sito dell'EUM - Edizioni Università di Macerata (cliccare sul bottone "accedi al full text" che compare sulla pagina web sotto i nomi dei curatori del volume), che raccoglie gli atti di un seminario online sui problemi giuridici posti dalla pandemia da Covid 19 tenutosi nel maggio 2020. Si veda in particolare lo scritto del docente intitolato "Le disposizioni adottate per fronteggiare l’emergenza coronavirus come norme di applicazione necessaria", che figura alle pagine 235-256 del volume, nel quale si discute del carattere di applicazione necessaria espressamente conferito dal decreto-legge c.d. "Cura Italia", adottato nella prima fase dell'emergenza pandemica, ad alcune disposizioni contenute nel decreto stesso, volte a introdurre un regime di ristori a favore degli acquirenti di servizi di trasporto passeggeri e di pacchetti di viaggio colpiti dalle misure restrittive adottate per il contenimento della diffusione del virus, nell'ottica di un contemperamento con gli interessi degli operatori del settore.

  •  L'unificazione convenzionale delle regole di diritto internazionale privato

     

  •  Testi normativi di riferimento generale

    Si riportano in questa cartella alcuni testi normativi di riferimento generale per lo studio della materia, da consultarsi tanto da parte degli studenti frequentanti, quanto da parte dei non frequentanti. Saranno di volta in volta caricati, in cartelle separate, ulteriori materiali, principalmente giurisprudenziali, destinati agli studenti frequentanti, con riferimento ai diversi argomenti che verranno trattati nell'ambito del corso.

    • Legge 31 maggio 1995, n. 218, Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato

      Si riporta il testo della legge come attualmente vigente, a seguito delle diverse modificazioni ed integrazioni intervenute nel corso del tempo.

    • Regolamento (UE) n. 1215/2012, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (c.d. "Bruxelles I-bis")

      Il regolamento, noto come "Bruxelles I-bis", ha sostituito, con effetto dal gennaio 2015, il precedente regolamento n. 44/2001, c.d. "Bruxelles I", il quale ha a sua volta preso il posto, a seguito dell'estensione della competenza legislativa della Comunità e poi dell'Unione europea alla materia, della preesistente Convenzione di Bruxelles del 1968 avente il medesimo oggetto.

    • Regolamento (CE) n. 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (c.d. "Roma I")

      Il regolamento ha preso il posto della Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, conclusa tra gli Stati membri della allora Comunità europea anteriormente all'introduzione della competenza legislativa comunitaria in materia.

    • Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali

      La Convenzione di Roma, conclusa tra gli Stati membri della allora Comunità economica europea ai sensi dell'art. 220 del Trattato CEE (poi art. 293 Trattato CE) che prevedeva la conclusione tra gli Stati membri di convenzioni che favorissero, tra gli altri obiettivi, il reciproco riconoscimento delle decisioni civili e sulla cui base era stata già conclusa la Convenzione di Bruxelles del 1968 sulla competenza giurisdizionale e il riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, è stata sostituita dal regolamento (CE) n. 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I, in questa stessa cartella), il quale si applica a tutti i contratti conclusi successivamente al 17 dicembre 2009. V. in particolare, tra le norme della Convenzione oggetto di più significative modifiche nel regolamento, l'art. 4 in materia di legge applicabile in mancanza di scelta ad opera delle parti, e l'art. 7, in materia di norme di applicazione necessaria (norma rubricata nella convenzione "Disposizioni imperative e legge del contratto").

    • Regolamento (CE) n. 864/2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (c.d. "Roma II")

      Il regolamento è detto "Roma II" in quanto intende affiancare il parallelo regolamento "Roma I" relativo alla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, benché, per vicende relative all'iter legislativo dei due strumenti, sia stato materialmente adottato prima dell'altro regolamento.

    • Regolamento (UE) n. 1259/2010 sulla legge applicabile al divorzio e alla separazione personale (c.d. "Roma III")

      Il regolamento, detto "Roma III" in quanto intende proseguire il cammino di unificazione delle regole sulla legge applicabile nei rapporti transfrontalieri già intrapreso con i regolamenti "Roma I" e "Roma II" in materia di obbligazioni, rispettivamente, contrattuali ed extracontrattuali, è stato adottato in sede di cooperazione rafforzata, alla quale partecipano, sinora, 17 Stati membri, tra i quali l'Italia. Conseguentemente, esso è applicabile solamente negli Stati membri partecipanti. Nondimeno, come avviene anche negli altri due regolamenti "Roma I" e "Roma II", le regole sulla legge applicabile contenute nel regolamento sono regole ad applicazione universale o erga omnes, per cui si applicano anche ove portino all'applicazione della legge di un paese membro non partecipante alla cooperazione rafforzata, ovvero di un paese terzo.